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"Ora serve un nuovo sistema politico"

Gianni De Michelis

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E dopo la Prima Repubblica finì anche la Seconda. Tante le analogie tra il 2012 e il 1992. Gianni De Michelis fu, da esponente di spicco del Psi, testimone di ciò che accadde 20 anni fa. «A prescindere dai destini dei singoli leader - spiega - è evidente che oggi si è chiusa una fase. Certo, la Prima Repubblica si concluse per ragioni più serie». Sta dicendo che Tangentopoli era "più seria" delle attuali inchieste? «Le vicende giudiziarie furono usate per far fuori la cosiddetta Prima Repubblica, ma il crollo avvenne a causa della fine della Guerra Fredda. La logica, che io definisco di Yalta, basata sulla contrapposizione di due sfere di influenza non era più in grado di rappresentare la realtà. Certo, dopo quella stagione avremmo dovuto avvicinarci alla normalità europea. Invece la Seconda Repubblica ha dato vita ad un modello divergente». Perché? «Tre, secondo me, le principali anomalie: la presenza di una personalità eccentrica come Berlusconi; il peso della Lega; la sinistra egemonizzata dai post comunisti. La crisi ha fatto saltare in aria tutto». Nel caso del Carroccio, a dire il vero, più della crisi poterono i giudici. «Bossi non si ritira per le vicende che, almeno stando ai giornali, gli vengono addebitate. Non contano molto. Bossi, che pure ha creato l'unico vero partito italiano degli ultimi anni, non è riuscito a costruire un progetto Paese credibile. Ha iniziato con la secessione poi, quando ha capito che gli italiani non ne volevano sapere, ha ripiegato sul federalismo. Ma anche il federalismo è fallito e lui, oggi, impersonifica questo fallimento». Non le sembra un'analisi un po' edulcorata della situazione? «Lo strumento usato per concludere l'esperienza della Prima e della Seconda Repubblica è lo stesso. Una volta rodato il meccanismo si continua a fare un uso politico della giustizia. Lo strumento, però, non ha raggiunto l'obiettivo per cui è stato teorizzato: la lotta alla corruzione. Le risorse di cui parliamo sono dieci, cento volte superiori a quella di Mani Pulite. Guardi le cifre dei finanziamenti pubblici ai partiti, sono gigantesche. E sono migliaia le persone che hanno trovato la propria remunerazione a spese dello Stato o delle istituzioni». Pensa che il leaderismo del Senatùr sia stato un limite per la Lega? «Il limite del personalismo è comune a molti dei partiti della cosiddetta Seconda Repubblica. Potrei citarle Berlusconi, Casini, Fini. Anche nel Pd le personalità sono state dominanti rispetto ai progetti politici. La Lega ora deve scegliere se indirizzarsi verso una variante moderata diventando "di governo", ancorché locale, o se tornare alla pura protesta cavalcando i temi che l'avevano caratterizzata agli inizi». La fine della Prima Repubblica ci ha insegnato che i "vuoti" si riempiono. Cosa accadrà ora? «Non lo so. Le elezioni del 2013 sono sicuramente un passaggio decisivo. Due gli elementi che secondo me vanno considerati. Da un lato il ruolo che vorranno avere Monti e alcuni dei suoi ministri. Dall'altro la legge elettorale che da sempre è uno strumento per manipolare la trasformazione politica. Io mi auguro che l'Italia si indirizzi finalmente verso un sistema politico che abbia la stessa configurazione di quello del resto d'Europa. Che è tutt'altro che bipolare, ma si fonda su un certo numero di forze che vanno dall'estrema sinistra all'estrema destra, passando per gli ecologisti, i conservatori, i socialdemocratici, i liberaldemocratici». Il bipolarismo quindi è morto? «Siamo alla disintegrazione del bipolarismo. Basta vedere gli scontri interni ai singoli partiti. L'Italia dovrebbe approfittare di questa crisi per avviare una trasformazione graduale». E magari rinascerà anche una forza socialista? «Io spero nella riorganizzazione di un fronte riformista che erediti la tradizione laico-socialista. Credo che una delle ragioni del fallimento della Seconda Repubblica sia proprio la cancellazione di un pezzo del Paese che ha trovato, in gran parte, rifugio in Forza Italia prima e nel Pdl poi. Berlusconi, purtroppo, non ha saputo o voluto rappresentare questa cultura politica che nel 1992 rappresentava il 25% dell'elettorato».

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