La Lega alla resa dei conti
Intercettazioni, cassette di sicurezza, interrogatori. La Lega accusa il colpo. L'inchiesta dei magistrati di Milano, Napoli e Reggio Calabria sul tesoriere Francesco Belsito va avanti, e il Carroccio rischia di implodere. Il problema è politico, prima che giudiziario. I Lumbard sono i primi a esserne consapevoli. Ecco allora che quella di ieri è stata un'altra giornata calda a via Bellerio. Umberto Bossi ha riunito attorno a sé lo stato maggiore del partito, convocando la segreteria politica. Questa volta c'era anche Roberto Maroni, che martedì si era tenuto alla larga. L'ex ministro dell'Interno, però, non fa prigionieri: «Chi ha tradito la fiducia dei militanti deve essere cacciato, senza guardare in faccia a nessuno» scrive su Facebook, lanciando un messaggio chiaro a tutto il movimento. A drizzare le orecchie sono soprattutto i componenti del cosiddetto "cerchio magico". È su di loro che adesso sono accesi i riflettori. Contro di loro, che Bobo intende chiedere la conta, operando una sorta di "secessione" interna. E se il Senatùr lascia via Bellerio a metà pomeriggio, gli altri restano dentro fino a sera. L'atmosfera è tesa. Ogni decisione - anche quella sul successore di Belsito - viene rimandata al consiglio federale di oggi pomeriggio (anche se il nome che circola è quello di Stefano Stefani), ma l'aria è da resa dei conti. Renzo Bossi, intanto, tenta di mantenere la calma. Partecipa regolarmente ai lavori del consiglio regionale lombardo e si "consegna" a taccuini e telecamere: «Sono sereno - spiega - non ho mai preso soldi dalla Lega, né in campagna elettorale e neppure adesso da consigliere regionale». Vuole sembrare a tutti i costi uno dei tanti, pur essendo il figlio del capo: racconta di versare una quota del suo stipendio al partito come tutti i suoi colleghi, di pagare il leasing della macchina e di vivere in affitto. Ma non basta. A lui più che agli altri spetta difendere l'Umberto: «Anche la mia famiglia di soldi dalla Lega non ne ha mai presi - sottolinea - per esempio deve finire ancora di pagare la ristrutturazione della casa di Gemonio, perché i lavori sono stati fatti quando papà era ancora in ospedale». Le indagini, però, vanno avanti. Gli inquirenti, una volta incassato l'ok del presidente della Camera, perquisiscono l'ufficio dell'ex tesoriere leghista, aprono la cassetta di sicurezza e sequestrano documentazione contabile poi definita «utile al prosieguo dell'indagine». Intanto, a Milano, in una procura affollata di giornalisti, si succedono intanto gli interrogatori. Ascoltate in successione, la segretaria di Umberto Bossi, Daniela Cantamessa, e Nadia Dagrada, dirigente amministrativa del Carroccio e ideatrice dei gadget padani. «Sono tranquilla, non è stato faticoso rispondere», si limita a dire Cantamessa, lasciando la procura, mentre Dagrada assicura che sarà «fedele alla Lega fino alla fine». Lui, Belsito, si barrica in casa. È un uomo «sotto choc, distrutto, sconsolato, deluso e depresso, che in poche ore è passato dalle stelle alle stalle», un uomo - racconta il suo avvocato Paolo Scovazzi - «sull'orlo di una crisi di nervi, che vede il suo castello dorato sgretolarsi». Già, il suo e anche quello bagnato dalle acue del dio Po.