Monti chiede sacrifici a tutti ma non è chiaro per quale fine

Ultime dal fronte. Mario Monti ed Elsa Fornero hanno presentato al capo dello Stato la riforma del lavoro, illustrandola con abbondanza di aggettivi: “Storica”, “efficiente”, “equa”, e destinata “a creare più crescita”. Benissimo. Negli stessi istanti però lo spread saliva a 360 punti: ottanta in più in due settimane. Ma non si era detto che la legge era una clausola dell'Europa per ristabilire la fiducia dei mercati nei nostri confronti? Non vi avevano messo le firme l'allora presidente della Bce Jean-Claude Trichet ed il successore designato Mario Draghi? Contrordine: lo spread – che non è solo un indice ma il termometro di quanto ci costa rifinanziare le scadenze del debito – risale “sulla scia” della Spagna. Ieri infatti Madrid ha fatto fiasco con la sua emissione di titoli: doveva piazzarne 3,5 miliardi, ne ha collocati solo 2,6 e ad alto prezzo. Altra domanda: che c'entriamo noi con la Spagna? Loro hanno un governo eletto, un debito assai più basso del nostro, un deficit al contrario superiore. Si sono ribellati al rigore di Angela Merkel dicendo che non centreranno il pareggio di bilancio. Noi abbiamo un governo tecnico, sorretto da una maggioranza trasversale di partiti debolissimi, un debito fuori norma ma una disciplina rigorosa che, costi quel che costi tra tasse e sacrifici, nel 2013 dovrà portare all'azzeramento del deficit. E dunque perché siamo di nuovo nei pasticci? Con l'ennesimo suicidio, a Roma, per debiti col fisco? La risposta è insita nell'editoriale di ieri di Mario Sechi, che chiedeva perché il governo che impone la super-Imu ai pensionati che affittano la casa per pagarsi l'ospizio, ed alla Chiesa, risparmi invece le fondazioni bancarie. Dov'è l'equità? Domanda sacrosanta che se ne trascina un'altra: a chi risponde oggi l'Europa? A chi risponde il governo Monti? Noi non abbiamo mai creduto che il premier sia un agente del grande capitale, della Trilateral, del Club Bilderberg, della Goldman Sachs: questi scenari ci ricordano i complotti demo-pluto-giudaico-massonici di mussoliniana memoria. Ma al tempo stesso nei dubbi c'è un germe di verità. Monti, lo ha detto e lo ripete lui stesso, risponde all'Europa. Crede fermamente nell'architettura comunitaria, nelle sue regole, nei suoi standard legislativi e sociali i quali, nella sua visione, dovrebbero sempre più convergere. Ma l'Europa a sua volta a chi risponde? La risposta ovvia è: alla Germania. Vero; ma non basta. Perché accanto al governo Merkel agisce e decide un universo bancario globale che genericamente chiamiamo “mercati”. I mercati però non sono un fenomeno naturale come gli alisei: sono masse di denaro in perenne movimento per il mondo, interessi talvolta visibili talvolta no, che in questa fase sono alleati della Germania – consentendole come abbiamo più volte scritto di finanziare a costo zero il suo debito – mentre in altri momenti hanno remato contro Berlino e Francoforte. Senza bisogno di tornare alla famosa inflazione a dieci cifre della repubblica di Weimar che spianò la strada a Hitler, basterà ricordare la crisi degli anni Novanta che costò la poltrona ad Helmut Kohl; o quella del Duemila, dell'euro fortissimo che mise in crisi le esportazioni tedesche e provocò la caduta del welfare renano. Non sempre dunque i mercati si sono schierati al fianco dei tedeschi: adesso però la convergenza d'interessi è quasi perfetta. Furono i grandi fondi speculativi americani a decidere due anni fa di attaccare la Grecia, adducendo come motivo l'altissimo debito pubblico; ma è stato il governo Merkel a rinviare di due anni ciò che è stato chiamato salvataggio di Atene, ed invece è un vero default. Due anni nei quali le banche tedesche e francesi che avevano pensato bene di esporsi sulle obbligazioni greche (infischiandosene dello sbandierato azzardo morale) hanno avuto tutto il tempo di smobilizzare, disinvestendo già che c'erano anche dall'Italia, mentre intanto l'euro si indeboliva consentendo il boom dell'avanzo commerciale del made in Germany. Ora nel mirino c'è la Spagna, che minaccia di tirare giù anche noi. Eppure è stata fino a ieri un paese a rischio debito pari a zero: nel 2008 era al 40 per cento, la metà dell'area euro e della Germania stessa. Che cosa accomunava Madrid ad Atene? Semplice: ancora la fortissima esposizione, di banche e fondi tedeschi e francesi, pari nel 2010 a 216 e 201 miliardi di euro. Ordini di grandezza quadrupli rispetto alla Grecia. Ed a che cosa sono serviti quei prestiti? In gran parte a finanziare il faraonico piano immobiliare che ha a sua volta prodotto il crac economico iberico. È lecito chiedersi se anche la Spagna verrà lasciata cuocere a fuoco lento, per dar modo alle banche di liberarsi della zavorra e ripagarsi del rischio con i finanziamenti della Bce, mentre tutto il resto d'Europa si farà un anno o due di purgatorio, di Pil sottozero, di impoverimento di massa e disoccupazione in aumento. Torniamo quindi a noi e Monti. Ieri la Banca d'Italia ha quantificato nel quattro per cento il calo di reddito delle famiglie. “La crisi” dice via Nazionale “ha inciso prepotentemente sul reddito riducendone la ricchezza e la capacità di risparmio mentre proprio le famiglie italiane hanno svolto un'importante funzione di ammortizzatore sociale che continuerà anche nel corrente anno”. Eppure il governo Monti, dal suo insediamento, non fa che prendere di mira quel paracadute: dalla casa ai risparmi, dalle tariffe pubbliche al potere d'acquisto, dalle pensioni ai consumi, non c'è nulla che si salvi. In nome di che cosa? Con quale legittimazione, non solo politica-elettorale ma sostanziale? Agli inglesi sotto i bombardamenti della Wehrmacht, Winston Churchill promise “lacrime sudore e sangue” in nome però della vittoria e della libertà. E nessuno si sottrasse, a cominciare dal re e dalla regina. Qual è l'obiettivo per il quale stiamo lottando: il fiscal compact? E dove sono quelli che combattono senza distinzioni di ruolo e censo: famiglie e parlamentari, risparmiatori e fondazioni bancarie?