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Sequestrato il tesoro di Gheddafi

Il leader libico Gheddafi

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Era il tesoro in Italia dell'ex dittatore libico Muammar Gheddafi, ucciso con un colpo alla testa il 20 ottobre 2011, a Sirte. Un patrimonio da un miliardo e cento milioni di euro che servoirà a ripagare le vittime del regime. Una fortuna che ieri il Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Roma ha sequestrato su richiesta del Tribunale internazionale dell'Aja, disposizione recepita dalla Corte d'Appello capitolina, delegata ai militari delle Fiamme gialle. Si va da partecipazioni azionarie in colossi societari industriali come Fiat, Finmeccanica ed Eni. A istituti di credito come Ubi banca e Unicredit. Fino a squadre di calcio, la Juventus spa. E anche a proprietà più vistose e inaspettate: un bosco da 150 ettari nell'isola siciliana di Pantelleria, un piano intero nello stabile di lusso in via Sardegna al civico 29, strada che taglia via Veneto. E una moto Harley Davidson. Insomma, il colonnello crollato mentre coi suoi fedelissimi cercava di difendere Sirte, la città dov'era nato il 7 giugno 1942, amava investire, entrare nei forzieri occidentali e «infedeli» passando dalla porta principale. Una "trionfale" intrusione voluta e riuscita sin dal 1976, e anche dopo, quando la comunità internazionale aveva definito la Libia uno degli Stati canaglia e Gheddafi un dittatore con la sagoma da terrorista. La sua vita è finita con un atto di giustizia sommaria e ieri la giustizia internazionale ha continuato a inseguire la sua ombra, i suoi gregari di famiglia e i suoi beni con un altro provvedimento giudiziario. I soggetti colpiti: il temibile ex capo dei servizi segreti libici, Abdullah Al Senussi detto «il macellaio» e il figlio secondogenito di Gheddafi, Saif Al Islam. Entrambi prigioneri in Africa. Il 15 maggio 2011, quando il Colonnello era ancora vivo, il procuratore della Corte penale internazionale, Luis Moreno Ocampo, ha chiesto l'incriminazone di Gheddafi per crimini di guerra contro l'umanità, proposta estesa al figlio Saif Al Islam e al capo dei servizi segreti Al Sanussi. Cinque mesi dopo il carteggio firmato da Moreno Ocampo ha raggiunto i canali diplomatici, sostenuto dagli articoli 93 e 96 dello statuto della Corte penale. E cioè: l'istanza è stata quella di «intraprendere tutte le misure necessarie per identificare, rintracciare, congelare o sequestrare qualsiasi proprietà, conti bancari o azioni che siano di appartenenza o posti sotto il controllo diretto o indiretto di Muammar Mohammed Abu Minar Gheddafi, Saif Al Islam Gheddafi e Abdullah Al Senussi, o che siano detenuti da società oppure organismi direttamente o indirettamente posseduti o controllati dagli stessi».   La richiesta rogatoriale internazionale è arrivata a Roma, alla Corte d'Appello. E sono partiti gli accertamenti e le ricerche del patrimonio da parte dei finanzieri del Nucleo di polizia tributaria. Non è stato un lavoro semplice e immediato. Le Fiamme gialle hanno dovuto acquisire dati anche alla Banca d'Italia, al Comitato di sicurezza fiscale del ministero di Economia e finanze. E alla fine hanno presentato l'elenco completo alla Corte d'Appello, al giudice Domenicomassimo Miceli. Il 22 marzo sono partiti i decreti di sequestro preventivo. A cossa serve aver messo i sigilli al tesoro dell'ex dittore libico e dei suoi fidati? Lo spiega sempre lo statuto della Corte penale internazionale: «Nel più alto interesse delle vittime, al fine di garantire che, nel caso gli imputati fossero ritenuti colpevoli di uno o più reati citati nei mandati di arresto emessi nei loro confronti, possano esercitare la facoltà di chiedere o ottenere risercimenti per i danni subiti». Tre mesi fa Saif Al Islam Gheddafi è stato catturato nel deserto libico, ora è prigioniero in un luogo segreto nella città di Zentane e presto sarà trasferito a Tripoli per essere sottoposto a processo. Il Tribunale penale internazionale aveva cercato di ottenere il suo trasferimento all'Aja, dove sarebbe stato processato per crimini contro l'umanità. Le autorità libiche si sono opposte ma hanno concesso ai funzionari del Tribunale penale internazionale di assistere al dibattimento giudiziario a Tripoli. Il governo libico ha chiesto al Niger l'estradizione di un altro figlio del colonnello Gheddafi, Saadi, dopo che questi ha parlato in televisione di un sollevamento delle truppe lealiste che ancora esistono in Libia contro il Consiglio nazionale di transizione. Due altri figli di Gheddafi si trovano in Algeria, Hannibal e Mohammed. Il governo di Algeri ha già chiarito con il governo di Tripoli che la loro estradizione è fuori questione. In Algeria si trovano anche la figlia del colonnello Gheddafi e la moglie, con diversi nipoti.   Il 17 marzo, Abdallah Senussi, l'ex capo dell'intelligence di Muammar Gheddafi, «il macellaio», è stato arrestato in Mauritania. Senussi è uno degli ultimi esponenti di spicco del regime di Gheddafi che era rimasto ancora a piede libero. Fonti libiche, arabe e occidentali lo hanno accusato di aver personalmente picchiato e abusato dei prigionieri nelle carceri della Libia. Si ritiene sia il responsabile di purghe di oppositori del regime negli anni Ottanta e Novanta e della morte di 1.200 detenuti politici nel carcere di Abu Salim a Tripoli nel 1996.

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