Il Biscione cambia pelle

Emilio Fede lascia la direzione del Tg4, il settimanale «Chi» dedica la copertina alla signora Elsa, consorte di Mario Monti, Giuliano Ferrara pubblica un editoriale sul «Foglio» dove si iscrive alla corrente «Berlusconi, tendenza Monti». Panico tra gli antiberlusconiani in servizio permanente effettivo: cosa sta succedendo nella galassia del Biscione? Perché l’impero del Cav è diventato il principale supporter del governo tecnico? Sono dilemmi incomprensibili per chi ha fondato la sua ragione di esistere (e il fatturato) sulla lotta senza quartiere al Cavaliere, ma in realtà il cambio di pelle del Biscione è logico, rientra nella tradizione del gruppo e non fa una piega rispetto al contesto che si sta aprendo dopo il passo indietro di Silvio e l’arrivo dei tecnici a Palazzo Chigi. La lettura «politica» di quel che sta accadendo prevale – e ha, come vedremo, un suo fondamento – ma la realtà è che il «cambio di stagione» per il management di Mediaset e Mondadori è un’occasione per lanciare nuovi prodotti, armonizzare l’offerta di news e intrattenimento, contenere i costi e aprire il gruppo a nuovi mercati. La sostituzione di Fede era stata decisa da tempo, la trattativa andava avanti da mesi e a complicarla è stato il direttore quando ha cercato di allungare i tempi della sua uscita. Fede ha ragione quando dice che «il Tg4 è una mia creatura», un merito che a Mediaset nessuno discute, ma l’editore è un’azienda quotata in Borsa che ha in mente un riassetto e rilancio delle sue testate, un’armonizzazione dei contenuti e un piano da 250 milioni di euro di tagli in tre anni che guarda al futuro. In questo quadro il Tg4 era un’anomalia, un contenitore quasi «irriformabile» rispetto al resto dell’offerta. La scelta di affidare la direzione a Giovanni Toti, un giornalista cresciuto dentro Mediaset, fa parte di questa strategia e la «sorpresa» manifestata dai commentatori per la rottura con Fede in realtà è più sulla dinamica che nel merito. Si doveva cambiare. E lo sapevano tutti. Piersilvio Berlusconi aveva tracciato la rotta qualche giorno fa di fronte agli analisti della City: la creazione di «un network completo, con un avvio di presenza su Internet grazie al progetto all news, un’integrazione tra televisione e il web che intendiamo rafforzare anche con nuovi progetti». Qualcuno parla di «metamorfosi», ma dimentica che un gruppo quotato in Borsa ha un valore intrinseco nella «polifonia» dell’offerta, che è sempre stata un punto di forza del Biscione. Una notte di qualche annetto fa, rubai un’intervista a Berlusconi che comprava i giornali nell’edicola all’angolo con la Galleria Colonna. Lo interrogai sulla Rai, sull’inarrestabile “santorizzazione” e su Mediaset. Lui rispose: «Il nostro gruppo non può permettersi di far scorrere il sangue, noi stiamo sul mercato e abbiamo il dovere di essere polifonici».   Per questo i telegiornali Mediaset non hanno mai sbracato. Clemente Mimun ha sempre sfornato un Tg5 equilibrato, senza mai perdere di vista il suo pubblico. E Studio Aperto sotto varie direzioni – Mario Giordano, Giorgio Mulè e da ultimo Giovanni Toti - ha sempre privilegiato un target più giovane, attento al costume e agli stili di vita piuttosto che al Palazzo. Per non parlare dell’entertainment, con un’impronta culturale progressista e spesso apertamente antiberlusconiana (Zelig, Le Iene, la Gialappa’s...). La sola eccezione «militante» era costituita dal fortino "tiggiquattrista" di Fede. L’alibi perfetto per quelli in cerca della guerra permanente. La sua uscita chiude un’era e apre una storia nuova, per molti spiazzante. Lo scenario politico si sta evolvendo in una direzione imprevista da chi aveva sognato l’emarginazione di Berlusconi e il declino del suo gruppo editoriale. La politica non è una scienza esatta, due più due non fa mai quattro, ma può portare al risultato di tre o cinque. Nel caso del Cav, l’uscita da Palazzo Chigi non si riverbera solo sul Parlamento ma - ben contenuta da Monti la tentazione di scalata del Pd - avrà effetti sul riassetto della Rai e la sua governance: è probabile una riconferma del direttore generale Lorenza Lei e la nomina di un consiglio che rispecchia la «pax parlamentare. Mentre il Biscione avrà una libertà di movimento che il conflitto di interessi in fase di governo, paradossalmente, aveva frenato. Così Marina e Piersilvio Berlusconi daranno un’accelerata al ricambio generazionale in corso a Mondadori e Mediaset. È un passaggio di frontiera. Chi pensava a un Monti figlio dell’intellighentsia, interprete dei salotti e di un Pd lanciato verso la conquista del governo, dopo un paio di mesi ha preso atto di una situazione diversa. In rotta di collisione con Monti ci è finita la sinistra nelle sue varie espressioni: dal Pd a «Repubblica», il giornale-partito che delle febbri dell’area progressista è il termometro fedele. Così abbiamo assaporato il quadretto di un Ezio Mauro che attacca a testa bassa Monti per la riforma del lavoro, mentre sulla copertina del settimanale «Chi» la penna di Alfonso Signorini mette nero su bianco un’intervista alla signora Elsa Monti. I cremlinologi del laghetto di Segrate hanno letto l’uscita sul settimanale mondadoriano come un segnale d’attenzione del circus di Berlusconi nei confronti del premier.   La cosa è vera, ma non c’è sorpresa. Il Cav non ha mai fatto mistero del suo sostegno a Monti e a chi nel suo partito avanzava dubbi sui tecnici, ha sempre opposto un secco «nessuna crisi, Monti deve andare avanti ». In questo Berlusconi ha mostrato fiuto, ha intuito che gli interessi del Pd e quelli di un governo chiamato a mettere in pratica l’agenda di Bruxelles sarebbero finiti in conflitto. Ora ci siamo. Alfonso Signorini che sorride insieme a Elsa Monti nelle pagine di apertura di “Chi” è coerente con il settimanale appena rinnovato e con più pagine dedicate alla politica. Ecco allora apparecchiato per lady Monti un servizio fotografico di Massimo Sestini dall’appartamento del premier a Palazzo Chigi, foto dell’album di famiglia e cravatte di Marinella, come Silvio. E se questo non fosse sufficiente a convincere gli scettici che “la guerra è finita”, subito dopo s’ammira un Corrado Passera che passeggia nei pressi dell’Auditorium di Roma in compagnia della moglie Giovanna Salza e della loro bambina. Mano nella mano. Politica e famiglia. Schema pop. Real Casa. È un altro servizio giornalistico che ribalta lo schema del Nemico. Immagino la sensazione di spaesamento. Si chiederanno, come Lenin, che fare? E non troveranno risposta perché improvvisamente l’arma con cui hanno combattuto una guerra ad alta intensità è scarica. Alla fine, con grave contorcimento di budella e grande confusione, non trovando più il bandolo della matassa politica, schiumano rabbia contro Monti, per il quale riservano parole un tempo usate per qualificare il terribile mondo berlusconiano. Si passa così dall’editto di Sofia all’editto di Seul. E dipingendo il premier come il temibile “Montisconi”, realizzano un contrappasso impensabile fino a pochi mesi fa e lo consegnano all’area moderata. L’apoteosi s’è raggiunta ieri con un editoriale di Giuliano Ferrara sul «Foglio». L’indomabile Elefantino ha sfoderato un pezzo superbo dove il «fogliante in chief» ha coniato una nuova definizione per il suo inedito “status” politico, quello del «berlusconiano tendenza Monti».   Dopo aver fieramente combattuto contro l’arrivo dei tecnici, sostenendo le ragioni – peraltro fondatissime – del primato della politica, Ferrara ha compiuto la sua traversata e l’ha raccontata ai suoi lettori come la deliziosa parabola di «trasformista» che «ama la decisione politica seria. Sarà anche un trasformista, ma è un decisionista» e per questo «cominciò ad apprezzare la signora Thatcher» e «ammirava Reagan» e «scelse Craxi» e «Eltsin contro Gorbaciov», senza dimenticare il «berlusconiano tendenza Veronica». Ferrara parla dei suoi «idoli provvisori» – anche Monti lo sarà – avendo però ben chiaro l’identikit dell’avversario permanente, quello ideologico, quelli che sono sempre stati «dall’altra parte». Chi sono? Quelli che ieri avevano la figurina di Monti nell’album di famiglia antiberlusconiano e oggi lo attaccano perché quel Monti là è diverso dai loro desideri, non coltiva vendette, vuole riforme liberali ed è riconosciuto come un’occasione per il Paese proprio dal mondo berlusconiano. Quello tendenza Monti.