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Collegi, premi e sbarramento: arriva la riforma elettorale

Elezioni

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La politica ha battuto un colpo. Si prepara a rifarsi un vestito nuovo in vista delle elezioni del 2013. Per presentarsi davanti agli elettori dando l'idea di aver la capacità di cambiare e di rinnovarsi. Il progetto è ambizioso, un po' ricalca quella grande riforma tanto cara a Bettino Craxi e rimasto solo un sogno per tanti anni. Non migliore fortuna hanno avuto le Bicamerali franate a un passo dal traguardo. L'obiettivo è chiaro, un governo forte, un premier con maggiori poteri, maggioranze solide e non soggette agli umori dei piccoli partiti. Tutto questo attraverso la riforma elettorale e la riforma costituzionale ipotizzate nel vertice tra Alfano, Bersani e Casini. Se tutti i buoni propositi andranno in porto, ma il Parlamento nei prossimi mesi dovrà lavorare duramente, dalle elezioni del prossimo anno gli elettori saranno chiamati a scegliere in modo diverso. Sarebbe un rivoluzione epocale che cancella 20 anni di storia d'Italia. I partiti tornano protagonisti e passano in secondo piano le coalizioni non più indispensabili per avere successo. Insomma niente più ammucchiate pur di vincere le elezioni. RIFORMA ELETTORALE È il piatto forte dell'incontro tra i leader dei maggiori partiti, quelli che sostengono il governo Monti. Per ora siamo alle intenzioni, poi si entrerà nel dettaglio tecnico. La riforma ipotizzata, che comunque per funzionare avrà bisogno di alcune riforme costituzionali, cancella sia il Mattarellum che il Porcellum. Soprattutto lo spirito che l'animava. L'idea forte è la fine dell'obbligo di coalizione. Nel sistema maggioritario, noto come il Mattarellum, i partiti erano sollecitati a unirsi in coalizione per vincere con un candidato unitario nei collegi uninominali. Nel sistema che lo ha sostituito il premio di maggioranza premiava la coalizione che aveva più voti alla Camera. È un sistema che comunque toglieva agli elettori il potere di scelta degli eletti. Con il nuovo sistema invece il premio di maggioranza andrebbe al partito vincente. Gli elettori avrebbero la possibilità di scelta nei collegi uninominali, che dovrebbero portare all'elezione della metà dei parlamentari. L'altra metà sarebbe scelta con il sistema proporzionale. Ci sarebbe uno sbarramento, probabilmente intorno al 5 per cento. Agli altri verrebbe comnunque garantita una rappresentanza. I partiti non sarebbero costretti a presentarsi in coalizione. Quindi la maggioranza potrebbe nascere dopo il voto, ma centrale resterebbe il partito che ha ottenuto più voti. Questo dovrebbe limitare il potere di veto dei raggruppamenti minori. Così il Pd non dovrebbe sottostare ai voleri di Vendola e Di Pietro. O il Pdl alla Lega. Non a caso è Alemanno che esalta l'intesa perché «le alleanze saranno sottoscritte solo se c'è una effettiva convergenza programmatica senza schieramenti innaturali, quello che fino a poco tempo fa condizionava il Pdl con la Lega Nord». Discorso analogo potrebbe farlo Prodi che per due volte ha dovuto abbandonare Palazzo Chigi per volontà degli alleati. Non è un caso se contro l'ipotesi di accordo tuonano sia la Lega che l'Idv che parla di truffa. Donadi, capogruppo del partito di Di Pietro boccia l'ipotesi di riforma: «Non solo non restituisce ai cittadini il diritto di scegliersi i candidati, ma gli toglie anche ciò che avevano in precedenza, il diritto di conoscere prima delle elezioni e non dopo, il programma, la coalizione e il candidato premier». Reazione comprensibile perché il sistema elaborato, eliminando il vincolo di coalizione, affida ai partiti principali il compito principale. Chi vince deve andare al governo. Niente più alleanze elettoralistiche, niente alleanze anomale e in prospettiva niente governi deboli e vincolati alla volontà degli alleati più piccoli. PREMIO DI MAGGIORANZA In linea con l'asse portante della riforma andrà solo al partito che ottiene più voti e non alla coalizione. Bipolarismo che si regge sulle gambe dei due maggiori partiti. SCELTA DEI CANDIDATI Non si tornerà alle preferenze, ma l'idea è quella di riconsegnare agli elettori il potere di scegliere gli eletti che non dovrebbero essere più nominati. INDICAZIONE DEL PREMIER È l'altra riforma proposta che dovrà dare forza di legge a una consuetudine in atto da anni, ma comunque non vincolante fino adesso. Dalle prossime elezioni ogni partito dovrà presentarsi davanti agli elettori indicando il proprio premier. E sarà quello indicato dal partito che ha ottenuto più voti ad essere incaricato di formare il nuovo esecutivo. PARLAMENTARI L'indicazione è chiara, ridurre il numero di deputati e senatori. Alla Camera dovrebbero scendere da 630 a 500. Al Senato scendere da 315 a 250. Potrebbe anche esserci una fase transitoria. Da rivedere l'età degli eleggibili che dovrebbe essere equiparata a quella degli elettori, cioè 18 e 25 anni. Insomma potremmo avere un Parlamento con più giovani. RIFORME COSTITUZIONALI Devono accompagnare la legge elettorale per garantire governabilità e capacità dell'esecutivo. Sono considerate indispensabili. Abbiamo già parlato dell'indicazione del premier, che va incardinata nelle norme costituzionali. Ma soprattutto va rivisto il ruolo del governo e del premier. In sostanza all'esecutivo vengono affidati maggiori poteri rispetto a quanto previsto ora. Ma è la figura del premier che dovrebbe subire un radicale cambiamento. Anche di recente Berlusconi si è lamentato per non avere poteri reali. Basti citare il fatto che una volta nominato un ministro, il presidente del Consiglio non può dimetterlo. Il disegno di riforma costituzionale affiderebbe al premier dei poteri veri, sia nei confronti dei membri dell'esecutivo sia nei confronti del Parlamento. Verrebbero riproposti dalla Costituzione tedesca gli articoli 67 e 68. Il primo è la cosiddetta sfiducia costruttiva. Per sfiduciare il governo serve indicare una coalizione alternativa. L'articolo successivo è ancora più importante perché se il governo chiede il voto di fiducia su un provvedimento, se non lo ottiene non si dimette, ma chiede e ottiene dal Capo dello Stato lo scioglimento delle Camere e dunque il voto. FINE DEL BICAMERALISMO Per ora è solo una intenzione che dovrà trovare poi una definizione tecnica. L'idea è quella di velocizzare i percorsi parlamentari evitando il ping pong tra i due rami del Parlamento. Così vanno definiti ruoli e competenze tra le due Camere. TEMPI Stabilite le linee generali, da oggi i tecnici si dovranno mettere al lavoro per trasformare in provvedimenti legislativi l'intesa di massima raggiunta. Sull'accordo c'è la benedizione di Napolitano e del presidente del Senato. Alfano, Bersani e Casini sono soddisfatti. Per loro la politica ha battuto un colpo. Adesso si tratta di arrivare al risultato. Entro 15 giorni potrebbe essere raggiunta l'intesa tecnica sulla modifica della legge elettorale. L'iter potrebbe essere anche rapido. Più lunga naturalmente la strada per le riforme costituzionali. Ma se ci fosse l'intenzione di arrivare a dei risultati entro la legislatura, non bisogna perdere tempo. E comunque se questa è la volontà dei partiti che sostengono Monti è chiaro che il governo dovrà restare in carica fino al termine della legislatura. ALTRE RIFORME Nel vertice dei segretari si è parlato di altri temi, come la riforma del mercato del lavoro, con la presa di posizione del Pd che vuole modificare la legge, poi la giustizia e la Rai. Temi sui quali ci sono divisioni. Ma sull'impalcatura della riforma elettorale e le riforme costituzionali, sulle linee di principio l'intesa c'è. Ora servono i provvedimenti e i dettagli, che non sono secondari. Tante volte si era arrivati a un passo dal traguardo. Sembrava vicino il grande accordo. Poi la polemica e le diffidenze avevano fatto saltare il tavolo. Ora governa Monti, sarà la volta buona?

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