La lite tra Pd e Pdl sull'articolo 18 nasconde solo una riforma inutile
Le tribù dei pellerossa del Pd e del Pdl danzano intorno al totem dell'articolo 18 contendendosene lo scalpo. I primi, agli ordini della Cgil, hanno capito che le parole «salvo intesa» hanno un preciso significato: il Governo «calerà le braghe» se a chiederlo sarà il Parlamento. Così la soluzione tedesca (ampiamente rivista all'italiana) andrà ad aggiungersi anche nel caso di licenziamento per motivi economici, rendendo ancora più inutile una revisione della disciplina dei licenziamenti individuali, che ha già tanti aspetti ingannevoli. I secondi, abbacinati dal risultato politico di mettere in difficoltà gli avversari del Pd, finiscono per schierarsi a difesa di un progetto che, nella parte riguardante la flessibilità in entrata rischia di far calare una vera e propria «cortina di ferro» su tutti i rapporti di lavoro flessibili introdotti dalla legge Biagi. Il progetto del Governo non bonifica la precarietà, ma scoraggia ogni tipo di flessibilità sottoponendola ad un pregiudizio di illegittimità, imponendo ai datori l'inversione dell'onere della prova, introducendo troppi formalismi ed aumentando il costo del lavoro. Consegna le imprese nelle mani degli ispettori dell'Inps. Alla fine saranno tanti di più i posti di lavoro effettivamente persi che quelli, presunti, in conseguenza del nuovo articolo 18. Contratti a termine. Questa tipologia contrattuale è stata regolata sulla base di una direttiva UE rivolta a «liberalizzare» l'uso del contratti a termine, che sono regolati dalla contrattazione nazionale come quelli a tempo indeterminato; la loro diffusione (pari al 12,8% del totale degli occupati) è assolutamente in linea con il trend dei paesi europei. Il Governo Monti propone l'aumento del costo del lavoro per chi utilizza lavoratori a termine, mediante un complicato meccanismo di bonus malus. Inoltre, è previsto anche l'aumento del periodo di intervallo tra un contratto a termine e l'altro. Sono inclusi, poi, nel tetto di durata massima del contratto a termine, anche i rapporti svolti nell'ambito della somministrazione di lavoro; questa disposizione si traduce, di fatto, in una compressione fortissima di due strumenti (contratto a termine, somministrazione) che invece andrebbero incentivati. Apprendistato. Il precedente Governo aveva riformato l'istituto di intesa con le Regioni e le parti sociali (inclusa la Cgil). Il Governo ha più volte affermato la propria volontà di incentivare l'apprendistato come contratto da utilizzare in maniera prevalente per l'accesso al lavoro. Ma viene prevista, tra gli altri vincoli, l'introduzione di un limite oggi non esistente (l'obbligo di trasformare una percentuale di almeno il 50% degli apprendisti) come condizione per potersi avvalere in futuro di tale tipologia. Part time. È reintrodotta la comunicazione amministrativa per i casi di utilizzo delle clausole elastiche e flessibili, per quanto riguarda in particolare l'orario di lavoro, nonostante che questa tecnica si sia storicamente rivelata fallimentare. Eppure, nei paesi in cui è più elevata l'occupazione femminile vi è anche un maggiore utilizzo del part time. Collaborazioni e partite Iva. La scure del Governo si abbatte anche sulle tipologie contrattuali considerate più permeabili ad abusi e illeciti, le collaborazioni coordinate a progetto e le partite Iva. Per il lavoro a progetto, si propongono alcune modifiche normative (l'eliminazione del programma di lavoro, la riduzione della facoltà di recesso libero) e l'aumento dei costi contributivi (di 6 punti entro il 2018), che già sono state sperimentate in questi anni con scarsi risultati. Questo incremento finanzia in gran parte la riforma degli ammortizzatori sociali senza però che siano riconosciute ricadute positive in termini di prestazioni ai cocopro, per il quali rimane in vigore solo la indennità una tantum, in caso di perdita del lavoro, istituita dal ministro Sacconi. Anche con riferimento alle partite Iva, si propone di introdurre una presunzione di subordinazione, nel caso di rapporti che durano più di 6 mesi, se un singolo committente garantisce almeno il 75% dei corrispettivi, pur in presenza di più committenti. Si tratta di una misura draconiana che avrà un impatto del tutto irrazionale su migliaia di situazioni, che si svolgono nella più assoluta regolarità. Infine, si ipotizza di restringere l'utilizzabilità dell'associazione in partecipazione con apporto di lavoro ai soli casi in cui gli associati di lavoro siano solo famigliari, e di contenere l'utilizzabilità del lavoro accessorio, senza considerare che ha dato ottimi risultati in alcuni campi caratterizzati purtroppo da larga incidenza del lavoro nero.