Giorgio sotto il fuoco amico di Bersani e "compagni"
Giorgio Napolitano non correrà per un secondo mandato al Quirinale. Sente il peso degli anni, saranno quasi ottantotto nel 2013. «Nessuno è insostituibile. La stanchezza c'è», ammette parlando con un gruppo di studenti. Il colloquio - inserito in un documentario andato in onda solo ieri - risale al 16 gennaio scorso. Lontano dalla fase cruciale della riforma del lavoro, dalle polemiche. Quando il consenso che il presidente della Repubblica riscuote tra i cittadini è alle stelle. Adesso qualcosa sembra essere cambiato. La presa di posizione del Capo dello Stato sulla riforma, l'aver assicurato che - così com'è - non comporterà «una valanga di licenziamenti facili», ha rotto alcuni equilibri. Troppe, dure, e inattese le critiche che arrivano da sinistra. Pier Luigi Bersani ha deciso di andare per la sua strada, ovvero quella obbligata dalla Cgil. Nella riforma varata venerdì dal Consiglio dei ministri «ci sono cose buone - ammette - ma anche cose da correggere: non possiamo accettare che in nessun caso, anche in caso di sospetti licenziamenti economici, la monetizzazione sia la soluzione esclusiva. Quello è un elemento basico e su questo noi non ci muoviamo», sentenzia. Non sono buone notizie per Napolitano. «Oggi il governo è più debole di ieri» ammette Angelino Alfano, lamentando la mancanza di un testo scritto e di tempi certi di approvazione della manovra. La Cgil, poi, non ha revocato lo sciopero. Anzi: «Va rafforzato», ha tuonato Susanna Camusso inveendo contro le «lacrime di coccodrillo» del ministro Fornero. Il segretario del Pd si difende: «Non so se si indebolisce il governo discutendo» di questioni complesse «o facendo saltare i vertici per la Rai o le norme sulla corruzione - commenta sarcastico - Io sono qui per rafforzarlo». La norma sul mercato del lavoro «è buona», aggiunge il leader democratico, che considera «possibile» l'obiettivo di un'approvazione definitiva da parte del Parlamento «entro l'estate». Sarà. Intanto la tensione sale. E "Re Giorgio" finisce sempre più spesso nel mirino dell'ala meno riformista della Sinistra. È successo anche ieri. Il Manifesto ha deciso di puntare il Capo dello Stato con un attacco frontale in prima pagina. «Che la Cgil apra il fronte dello sciopero generale, e persino il leader della Cisl debba assumere toni meno concilianti verso il governo, è persino scontato. Come lo è che i partiti del centrosinistra chiedano di cambiare il testo in Parlamento», scrive Norma Rangeri. «Ma già meno scontato è il fatto - aggiunge - che il nuovo capo di Confindustria sostenga questo caposaldo dello Statuto dei lavoratori spiegando che non ha mai ostacolato l'azienda né spaventato gli investitori esteri». Il tutto per bollare come «fragorosa» «la ripetuta, insistita, quotidiana sottolineatura del capo dello stato a favore della linea dura del presidente Monti e del ministro Fornero, proprio sull'articolo 18». Il «popolo del no», insomma, è tornato all'attacco. Minaccia la piazza. Attacca il più anziano - e più innovatore - rappresentante della Sinistra. Cerca nuovi nemici. E se a impedire il meritato riposo di un uomo di ottantotto anni che ha deciso di voler tornare ad essere un «privato cittadino» fossero proprio Bersani e compagni?