A sinistra troppa fretta di archiviare Re Giorgio
Temo, non per noi moderati o riformisti, chiamiamoci così, ma per i cavernicoli di sinistra travestiti da progressisti, che ci sia da quelle parti troppa fretta di archiviare la presidenza di Giorgio Napolitano, aggrappandosi ad una certa "stanchezza" da lui appena dichiarata con aria schiva in televisione. Ed anche allo scenario della successione da lui stesso prospettato da una parte sottolineando la ovvia sostituibilità di tutti i mortali, dall'altra immaginandosi tornato ad un ruolo "privato", che poi non potrà mai avere davvero per il laticlavio che gli spetta di diritto. Alla scadenza del mandato dell'attuale presidente della Repubblica, eletto il 10 maggio 2006, manca più di un anno: all'incirca 14 mesi, equivalenti a 520 giorni. Quanti hanno vissuto con grande fastidio da sinistra il lavoro di Napolitano, contestandogli i rapporti prima con Silvio Berlusconi e poi con Mario Monti, torneranno per tutto questo tempo a salutare quotidianamente la sua «uscita con stile»? Me lo chiedo perché questo è il titolo liberatorio dell'editoriale di ieri pubblicato da Il Fatto. Il cui direttore Antonio Padellaro ha scritto di lui come di un presidente «controverso», provvisto alla fine del buon gusto di annunciare la sua «non ricandidatura». E di risparmiare ai suoi critici un altro settennato, o frazione, di sgradita «coerenza» con la milizia «migliorista», cioè riformista, cominciata da giovane nel Pci. Dove egli era in minoranza e già si esercitava nei «moniti inutili e rassicuranti» di oggi, da rimpiangere solo se gli dovesse succedere al Quirinale uno come Berlusconi. Di cui è sempre opportuno evocare il fantasma, come ha fatto appunto Padellaro ieri, per mobilitare certa sinistra. La prosa politicamente abrasiva del direttore de Il Fatto diventa comunque soffice al confronto con quella de Il Manifesto, che ieri rimproverava al presidente uscente di avere praticamente disatteso persino «l'unità nazionale», che il capo dello Stato è chiamato a rappresentare dall'articolo 87 della Costituzione. Ma se questo è stato l'esordio, figuriamoci cosa potranno inventarsi giornali e pensatori di tal tipo a carico di Napolitano negli oltre 500 giorni che ancora restano del suo mandato presidenziale. E che servono preziosamente a noi moderati e riformisti veri perché egli possa proseguire e concludere l'opera meritoria di ammodernamento delle istituzioni, della politica e, più in particolare, della sinistra che ha svolto in tutti questi anni. Abbiamo il diritto e la possibilità, per esempio, di aspettarci che con la sua azione di vigilanza e "persuasione", come si dice in gergo tecnico, Napolitano spinga le Camere, cioè la maggioranza dei partiti che le compongono, o di ciò che di essi rimane, ad approvare speditamente la riforma del mercato del lavoro appena predisposta dal governo dopo il lungo confronto con le parti sociali. E con le modifiche che dovessero renderne veramente più chiari, e non più equivoci, i passaggi oggi più controversi. Abbiamo il diritto e la possibilità di aspettarci che egli voglia e riesca a far fallire il piano diabolico, giustamente avvertito e denunciato proprio oggi dal direttore Mario Sechi su questo giornale, della solita sinistra sfascista. Che, magari contando su qualche autorete del centrodestra, dove non sono mancati e non mancano giocatori inclini al fallo più che alla mira, vorrebbe impantanare la riforma del Parlamento, e con essa lo stesso Parlamento e il governo, nella prospettiva di una crisi ad epilogo elettorale in autunno: quando potrebbe uscire vincente dalle urne la sinistra della famosa foto di Vasto, quella di Pier Luigi Bersani, Nichi Vendola ed Antonio Di Pietro, grazie al premio di maggioranza della legge elettorale in vigore: una legge bistrattata a parole ma utile nei fatti ad un piano del genere. Cui potrebbe concorrere in prima o seconda battuta il cosiddetto terzo polo di Pier Ferdinando Casini per ricavarne qualche carica istituzionale pesante, e/o spiccioli vari. Un piano analogo a questo, in verità, c'era già stato nello scorso autunno, quando maturavano le dimissioni di Berlusconi da presidente del Consiglio. Esso prevedeva due turni addirittura di elezioni anticipate, uno subito e un altro dopo due anni, per smantellare con l'aiuto del governo tecnico di Mario Monti, e all'ombra dell'emergenza economica, l'intero sistema politico e istituzionale a vantaggio di una sinistra interessata a costruire sullo sfascio un suo potere finalmente forte. Lo ha ricordato e descritto qualche giorno fa con una certa, direi però provvidenziale imprudenza il solito giornale Il Fatto rimproverando a Napolitano di non averlo assecondato, anzi di averlo affondato nel momento in cui rifiutò lo scioglimento delle Camere, mise subito in sella Monti e convinse i maggiori partiti a sostenerne l'azione riformatrice nel prosieguo ordinario della legislatura. Non si capisce francamente perché ad una riedizione o quasi di quel piano, e in una situazione di perdurante crisi economica e finanziaria che Monti continua a sottolineare, debba o possa convertirsi oggi il capo dello Stato. No. Lui non sprecherà così la preziosa coda del suo mandato. Solo i suoi avversari possono pensarlo, e scommetterci.