L’incubo del Pd è Napolitanero

Un incubo s’aggira nel Pd: il «Napolitanero». L’accoppiata Giorgio & Elsa. Il presidente della Repubblica e il ministro del Lavoro sono i propulsori del momento. Napolitano ha impresso un passo finalmente presidenzialista al Quirinale, oggi unico regista dello scenario politico, mentre il ministro è un felice mix di competenza, spirito d’acciaio e quel tanto che basta di politicamente scorretto che serve per innescare il big bang. Napolitano, classe 1925, è la mente più fresca della sinistra italiana. Fornero è un esempio di coerenza e tenacia senza pari nel governo. Un grande uomo politico. Una grande donna ministro. E un enorme problema per il Pd. Perché né l’uno né l’altra sono il prodotto del berlusconismo, anzi ne sono culturalmente avversari. Ma il loro disegno riformatore è una minaccia per i conservatori di cui Bersani è il garante. Per cui liberare il mercato del lavoro e limitare il reintegro automatico disposto dai tribunali - sempre del popolo e quasi mai del lavoro - è eversivo. Sentendo fischiare le pallottole, Monti ha sfollato il saloon rinunciando al decreto. Errore. Se doveva essere una Ferrari, sarà una Lambretta. Resta il tema politico: la crisi del Pd. Perché è chiaro che la spinta propulsiva dell’antiberlusconismo si è esaurita. Fino a qualche mese fa ogni errore veniva mascherato dalla presenza del Cavaliere e della sua «anomalia». Ora no. Mentre Silvio faceva il passo indietro, Bersani non capiva che restava solo lui davanti, senza la foglia di fico del Nemico. E quando si è trattato di mostrare coraggio riformista su un tema vero - la riforma del lavoro e non la Rai - Bersani ha fatto come Lassie: è tornato a casa. Dalla Cgil. E non solo. Perché in questa «ritirata strategica» il Pd si ritrova con Bossi e Di Pietro. Funambolico Pd. Contro gli innovatori della transizione italiana, Napolitano e Fornero. Alleati del trattorista Di Pietro e del «dito medio» Bossi. Erano progressisti, ora sono regressisti.