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Lavoro, Monti fa contento il Pd e sceglie il disegno di legge

Il premier Mario Monti

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A decidere sarà il Parlamento. Quella che passerà alla storia come «la riforma Fornero» è stata approvata ieri, «salvo intese», dal Consiglio dei ministri e approderà in Aula come disegno di legge: lì potrà essere modificata. Mario Monti opta, insomma, per una posizione «tecnica». Nessuna retromarcia (il governo ha confermato il suo «no» al reintegro sui licenziamenti economici), ma neanche nessuna fuga in avanti per quel che riguarda il tipo di strumento legislativo scelto: il Consiglio dei ministri ha scartato sia l'opzione del decreto sia quella della legge delega, lasciando - così come auspicato da Giorgio Napolitano - la possibilità del confronto al Parlamento. Troppo rischioso sfidare un Partito democratico riuscito nell'impresa, più unica che rara, di tornare compatto attorno alla volontà di modificare la norma sui licenziamenti per motivi economici. Forse Pier Luigi Bersani non avrebbe «staccato la spina» al governo, ma il segretario del Pd ha esercitato il suo potere di veto fino in fondo. Poco opportuno, poi, non tenere in considerazione le pressione del fronte sindacale, tornato unito nel credere la riforma «migliorabile». Ciò su cui le Commissioni prima, e l'Aula poi, dovranno lavorare è la tanto discussa «ristrutturazione» dell'articolo 18. La volontà di Palazzo Chigi è chiara: il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro sarà disposto dal giudice «nel caso di licenziamenti discriminatori o in alcuni casi di infondatezza dellicenziamento disciplinare». In tutti gli altri casi, licenziamento per motivi economici compreso, «il datore di lavoro può essere condannato solo al pagamento di un'indennità», come più volte ribadito dal ministro Fornero. La volontà di evitare la «valanga di licenziamenti» stigmatizzata dal Capo dello Stato, però, c'è, ed è contenuta in una piccola frase: «Particolare attenzione - scrive il governo - è riservata all'intento di evitare abusi». Di più: nella lettera di licenziamento - stando alla bozza approdata in Cdm - sarà obbligatoria l'indicazione dei motivi. Il testo prevede «tre regimi sanzionatori» a seconda che il licenziamento individuale sia valutato dal giudice discriminatorio, per motivi disciplinari o economici. Per i sindacati è sufficiente. «Intanto il Governo ha deciso un disegno di legge e questa è una buona notizia, perché avremo tutto il tempo per affrontare il problema - commenta il leader Cisl raffaele Bonanni - Faremo un'azione di lobbying sul Parlamento perché si trovino soluzioni più vantaggiose per i lavoratori». Contento anche Luigi Angeletti, Uil, secondo cui il provvedimento «sposta il luogo della discussione in Parlamento, quindi probabilmente avremo più ascolto di quanto ne abbiamo avuto con il governo sino ad ora». Susanna Camusso decide di non commentare direttamente la decisione presa da Palazzo Chigi. Su Twitter, però, dalla segreteria Cgil arrivano messaggi chiari: il governo ha optato per un disegno di legge perché «costretto da dibattito aperto nel Paese», ma «la smetta di dire che impedirà gli abusi. Per evitarli c'è solo il reintegro». E, tanto per essere chiari, «Riconfermiamo le iniziative di mobilitazione già programmate e che accompagneranno l'iter del Ddl in Parlamento». Non solo articolo 18, però. La riforma interviene anche sull'equità di genere: estende da 1 a 3 anni di vita del bambino il periodo entro il quale le dimissioni della lavoratrice devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del Lavoro per poter acquisire efficacia, prevede il congedo di paternità obbligatorio (riconosciuto al padre lavoratore «entro 5 mesi» dalla nascita del figlio e per un periodo pari a «tre giorni consecutivi») e propone una nuova displina per le «quote rosa». Quanto ai lavoratori anziani, il provvedimento «crea una cornice giuridica per gli esodi con costi a carico dei datori di lavoro», mentre per i giovani «attribuisce massimo valore» all'apprendistato, facendone un «trampolino di lancio» e limitandone gli abusi.

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