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«La Fiat li ha licenziati perché sindacalisti»

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Inpiena polemica sull'articolo 18 arriva la sentenza dei giudici di Potenza sui tre operai di Melfi. I licenziamenti di costoro, scrivono nella motivazione i giudici, rappresentano «nulla più che misure adottate per liberarsi di sindacalisti che avevano assunto posizioni di forte antagonismo» con «conseguente immediato pregiudizio per l'azione e la libertà sindacale». Nei confronti dei tre licenziati, il responsabile della linea produttiva - nella notte tra il 6 e il 7 luglio 2010 - ha tenuto un atteggiamento «provocatorio» rapportandosi agli operai in un modo «che non è stato così tranquillo e pacato come la società sostiene»: i giudici fanno riferimento al colloquio avvenuto quella notte davanti ai carrelli bloccati che avrebbero impedito, secondo la Fiat, il prosieguo della produzione, da cui è scaturito poi il licenziamento. I giudici poi spiegano che i tre operai della Fiat di Melfi reintegrati dalla Corte d'Appello di Potenza non hanno avuto «nessuna volontà diretta a impedire l'attività produttiva» il 7 luglio 2010. Non solo. «Non hanno avuto nessun gesto di sfida nei confronti dell'azienda». La sentenza è stata emessa lo scorso 23 febbraio: secondo i giudici del lavoro, Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli (i primi due all'epoca delegati Fiom, il terzo solo iscritto al sindacato), nella notte del 7 luglio 2010 «hanno esercitato un diritto costituzionalmente garantito» qual è quello di sciopero, «senza valicarne i limiti» e con una forma di protesta che ha coinvolto altri operai, ai quali però la Fiat «non ha contestato nulla». Immediato il commento del Pd che ha collegato l'episodio al dibattito sulla revisione dell'articolo 18. Il capogruppo del Pd in commissione Lavoro, Cesare Damiano ha sottolineato che «le motivazioni della sentenza dei giudici di Potenza dimostrano quanto sia necessario mantenere alta la guardia sul tema dei licenziamenti perchè il rischio di attività antisindacali, o di licenziamento discriminatorio mascherato, è molto alto, anche in grandi aziende nelle quali esiste una forte presenza sindacale».

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