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Sentenze comprate. Retata di giudici

Roberto Saviano

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Un mercimonio di sentenze giudiziarie. Così i magistrati della procura di Napoli hanno definito il sistema corruttivo che, secondo quanto emerso dalle indagini, sarebbe stato largamente diffuso all'interno della Commissione tributaria di Napoli, 16 componenti della quale sono stati arrestati dalla Guardia di Finanza. Una situazione favorita dal fatto che, malgrado il divieto, molti giudici tributari svolgevano contemporaneamente, ovviamente «in nero», attività di consulenza fiscale per privati. Da qui scaturiva «un perverso intreccio» di favori reciproci «con danni incalcolabili per l'Erario». Tanto che agli indagati coinvolti nell'inchiesta è contestato il reato di associazione per delinquere. Un'inchiesta che ha portato all'emissione di 60 ordinanze cautelari: 22 persone, tra cui 3 giudici tributari, sono in carcere, 25 (13 i giudici) ai domiciliari mentre per altri 13 indagati è stato disposto il divieto di dimora a Napoli. Un sistema di corruzione «più diffuso di quanto si pensi» ha detto nel corso della conferenza stampa il procuratore reggente di Napoli, Alessandro Pennasilico. L'indagine della procura di Napoli ha accertato che Felice Ragosta, uno dei leader della famiglia di imprenditori al centro dell'inchiesta, aveva come consulente fiscale Anna Maria D'Ambrosio, giudice tributario e destinataria di una ordinanza di custodia in carcere, la quale avrebbe sfruttato le proprie «entrature» per favorire il suo cliente. Un sistema, quello descritto dai magistrati, «perfettamente rodato e collaudato»: scambio di favori, aggiustamenti di sentenze alcune delle quali redatte dal consulente della parte privata. Secondo gli inquirenti, tra coloro che scrivevano le sentenze, poi firmate dai giudici, c'era anche l'avvocato Enrico Potito, titolare della cattedra di Diritto tributario alla Federico II di Napoli, anch'egli finito in carcere. E a proposito di scambi di favori, dall'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di un giudice tributario, Corrado Rossi, emerge il testo di una intercettazione in cui si rileva una «segnalazione» a favore del padre di Roberto Saviano, lo scrittore anticamorra per antonomasia. L'intercettazione ambientale risale all'8 aprile 2009 nella stanza della seconda sezione della Commissione tributaria provinciale di Napoli durante la quale un uomo non meglio identificato e «la signora Manzillo parlavano del ricorso del padre di Roberto Saviano segnalato da Corrado Rossi». «A tal proposito - è scritto nell'ordinanza - si può notare che accanto al nome di Saviano (e Colella) il giudice Corrado Rossi ha trascritto negli appunti, alla voce ricorsi, la somma di euro 6.000». L'intercettazione avviene nella stanza della segreteria: UOMO: Ah, Roberto (verosimilmente il nome del segretario della sezione, annotano gli inquirenti) gli volevo dire che ho il fascicolo del padre di Roberto Saviano. LILIANA MANZILLO: ahhh. UOMO: è raccomandato da Corrado Rossi! perchè il padre di Roberto Saviano vive, anche Roberto Saviano è originario di Frattamaggiore, il padre di Roberto Saviano è un medico di base ha fatto la combine con i centri medici, le radiologie e mo ha il fascicolo da me e poi Corrado Rossi mi ha raccontato tutta la storia, i genitori di Roberto Saviano si sono separati ed il padre... è mezzo imbroglioncello. L'indagine ha preso il via dal ricorso fatto dal gruppo Ragosta alla contestazione, dopo controlli fiscali, di una maxi evasione da 146 milioni di euro. Le intercettazioni predisposte dalla magistratura hanno mostrato che almeno 30 sentenze, emesse non solo a favore dei Ragosta, sono sospette. Secondo il pm Pennasilico, il «sistema è molto più ampio, siamo appena all'inizio delle indagini». Quanto all'intreccio tra clan e imprenditori, a indicare il fronte investigativo le rivelazioni di alcuni pentiti, ma anche l'intercettazione, risalente al 2004, di un consulente dell'Arpac: «Questi Ragosta sono criminali - disse, parlando al telefono - pensa che uno si è presentato con una pistola». Gli investigatori sono convinti che gli imprenditori riciclassero i soldi del clan Fabbrocino. La Finanza ha sequestrato beni per un miliardo.

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