Bersani lancia il Pd del futuro e riparte dal 1998
Il futuro del Partito Democratico è un salto indietro di 14 anni. Correva il 1998. Bill Clinton era presidente degli Stati Uniti, Tony Blair primo ministro inglese, in Germania arrivava al potere Gerhard Schroeder mentre Lionel Jospin guidava il governo francese. Nel nostro Paese Romano Prodi non sapeva ancora che, da lì a poco avrebbe dovuto lasciare la poltrona di Palazzo Chigi al primo premier ex Pci della storia italiana: Massimo D'Alema. Insomma il motore dell'Europa e di una parte importante del resto del mondo (in Brasile era l'epoca di Fernando Henrique Cardoso) era saldamente nelle mani dei progressisti. La sinistra spopolava e c'era addirittura chi si spingeva fino a sognare un «Ulivo mondiale». Ipotesi che, al solo nominarla, faceva andare su tutte le furie Massimo D'Alema: «Blair ha proposto di costituire una sede di dialogo permanente tra l'Internazionale socialista e le altre forze progressiste mondiali. Non gli passa neanche per l'anticamera del cervello di fare un super-Ulivo mondiale». Ebbene è soprattutto merito del lìder Maximo, che adesso guida la Fondazione europea per gli studi progressisti (Feps), se ieri a Parigi è nata una «vasta alleanza dell'insieme delle forze socialiste, progressiste e democratiche» d'Europa. Guai a chiamarla «super-Ulivo», ma certo il contesto in cui inserisce ricorda molto quello del 1998. Per capirlo basta prendere l'introduzione alla piattaforma programmatica dell'incontro. «A settembre 2011 - si legge - i socialdemocratici danesi sono tornati al governo. Nel novembre 2011 il governo conservatore italiano ha rassegnato le dimissioni. A dicembre 2011, un primo ministro socialista è stato designato in Belgio». Da qui ad un anno, poi, si voterà in Francia, Germania e Italia. Insomma, come ai bei tempi andati, la sinistra può tornare a guidare l'Europa scalzando l'asse Merkel-Sarkozy. Pier Luigi Bersani si è presentato all'appuntamento con l'orgoglio di chi è convinto di aver dato il via a questo processo di cambiamento cacciando Silvio Berlusconi. «Mi piace pensare - ha detto - che per una volta noi italiani abbiamo fatto da apripista». Attorno a lui, sul palco del Cirque d'Hiver, il presidente della Spd tedesca Sigmar Gabriel, il primo ministro belga Elio Di Rupo, il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz ma, soprattutto, il candidato socialista alle prossime presidenziali francesi Francois Hollande. È anche per sostenere la sua corsa verso l'Eliseo che il segretario del Pd ha deciso di presentarsi a Parigi. Scelta criticata dagli ex Popolari guidati da Giuseppe Fioroni ma anche da alcuni veltroniani. Dopotutto il tema della collocazione europea del partito (con i socialisti oltre i socialisti) è uno dei suoi "peccati originali". Fatto sta che Bersani non è apparso troppo preoccupato dai malumori interni e si è comportato da vero leader socialista. Con qualche omissione. A parte lo spot per Hollande («se vincerai sarà una vittoria anche per noi»), il leader democratico si è dimenticato di dire ai presenti che il suo partito, oggi, vota provvedimenti insieme a quello del "cattivissimo" Cavaliere e che quello di Mario Monti è considerato, da gran parte dell'intellighenzia di sinistra italiana, un governo «di destra». Non solo, ma forse sarebbe stato bello ricordare che la Grecia, che per Bersani rappresenta «il simbolo della sconfitta» delle destre europee e dell'asse Merkozy, era governata da George Papandreou, numero uno di quel Pasok che il laburista inglese David Milliband definì «una delle ispirazioni della sinistra europea». È stato lui non «la destra» a dire bugie sui conti di Atene. Ci sono poi le cose dette. E anche qui per Bersani non sono notizie positive. Hollande, infatti, punta ad una revisione del patto di bilancio europeo su cui Monti si è molto impegnato. Nel documento firmato a Parigi non se ne parla (ci si occupa piuttosto della necessità di una governance economica europea e della tassa sulla transazioni finanziarie, un evergreen), ma il candidato socialista ne ha fatto un punto qualificante del suo programma. Così Pier Luigi mette le mani avanti: «Il governo italiano ha firmato e manterrà la sua firma, ci mancherebbe. Ma da italiano di buon senso dico che se un Paese come la Francia pone questo problema si può aprire uno spazio di discussione con la prospettiva di un miglioramento». Il segretario del Pd ha anche il tempo per ricordare che, secondo lo statuto, lui è il candidato premier («ma non mi avvarrò di questa norma»). Il tutto mentre a Roma Democratici Davvero, la "corrente" che fa capo a Rosy Bindi, presenta un documento in cui critica pesantemente il progetto di legge elettorale su cui si sta lavorando («Si conferisc un potere di coalizione esorbitante al Polo di centro»). Immediato il commento del veltroniano Giorgio Tonini che su Twitter scrive: «Rosy Bindi contro la riforma elettorale Violante. Ma c'è qualcosa su cui la maggioranza congressuale del Pd (Bersani-Letta-Bindi) concorda?» Sempre la solita musica. Dal 1998.