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Latino terza lingua in Parlamento Sulla carta onorevoli «intellettuali»

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Rarenel dibattito in aula, le locuzioni latine fanno la loro comparsa non di rado nelle interrogazioni e interpellanze al governo e nelle relazioni che precedono l'articolato delle proposte di legge. Alcune di esse sono di uso comune nel linguaggio di tutti i giorni anche fuori dal Palazzo: pro capite, in primis, in loco, forum, bonus, ex novo, memorandum, omissis. Ma le ritroviamo spesso anche negli atti parlamentari tanto da poter dire, forzando un po' la mano, che dopo l'italiano e l'inglese, il latino è la «terza lingua» in Parlamento, più scritta che parlata. La locuzione latina più gettonata negli atti di controllo e indirizzo del Parlamento è senza dubbio «pro tempore»: tanto per fare un esempio, la deputata leghista Paola Goisis, professoressa prestata alla politica, la usa ben tre volte nella stessa interrogazione al ministro dell'Istruzione Francesco Profumo. Ma il record lo batte il deputato del Pdl Antonino Germanà, che in una interrogazione al premier Monti e ai ministri Passera, Barca, Fornero e Gnudi, sparge locuzioni latine a piene mani: conditio sine qua non, ratio, bene placet, ad hoc e bonus. Cinque, come i ministri «interrogati». Molto frequenti le parole latine che indicano una progressione numerica: bis, ter, quater, e via discorrendo, utilizzate per «contare» i governi e soprattutto per i riferimenti a commi e articoli richiamati nelle proposte di legge. Anche iter è una parola latina spesso ricorrente nel linguaggio parlamentare e politico, come lo sono vulnus, non di rado utilizzata per denunciare un vuoto legislativo o democratico, se la polemica politica si fa rovente, e soprattutto quorum, specie se si parla di referendum (altra parola latina usatissima) o dell'elezione di un giudice costituzionale. Alcune locuzioni latine immortalate nella documentazione parlamentare sono meno note ai più, come la «cessio bonorum» (la volontaria cessione dei beni ai creditori da parte del debitore insolvente), cui ha fatto ricorso in una interrogazione al premier Monti il deputato del Pd Massimo Vannucci. O come «inutiliter data», ossia una sentenza che non può dispiegare effetti, che compare in una interrogazione del deputato del centrodestra Gaetano Nastri.

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