Regali, favori e soldi spariti La politica finisce in Procura
Mazzette, ostriche, appalti, regali prima incautamente accettati e poi maldestramente restituiti, magari a beneficio dei fotografi. La politica è finita in procura. La presunzione di innocenza vale per tutti, sia chiaro. Ma se da un partito zombie, che non esiste più da anni, vengono fatti sparire più di 13 milioni derivanti dai rimborsi elettorali di un tempo, e nessuno se ne accorge, un problema c'è. Perché non è facile spiegare ai cittadini che a tutti quei soldi, un tempo pubblici, nessuno abbia prestato attenzione. Così come non è facile dire all'opinione pubblica - come coraggiosamente ha fatto venerdì Francesco Rutelli dopo essere finito nell'occhio del ciclone per il caso Lusi - che «così come sono fatti, i bilanci dei partiti sono facilmente truccabili». O che quattro componenti su cinque dell'ufficio di presidenza della Regione Lombardia (e 9 su 80 consiglieri regionali) risultano indagati (l'ultimo, il leghista Boni, avrebbe girato al partito oltre 1 milione di euro). Difficile anche raccontare ai propri elettori che per Natale l'amministratore pubblico che hanno votato ha accettato come regalo da un imprenditore «una valanga di pesce, che riempiva la vasca da bagno». Perché il reato, fino a prova contraria, non c'è. Ma il rischio che qualcuno si disaffezioni, non creda più alla politica o si arrabbi si fa sempre più concreto. Lusi e i 13 milioni scomparsi È lo scorso 31 gennaio quando, su segnalazione della Banca d'Italia, Luigi Lusi viene iscritto nel registro degli indagati della Procura della Repubblica di Roma. È accusato di appropriazione indebita: avrebbe sottratto, approfittando del suo ruolo di tesoriere, oltre 13 milioni di euro alle casse della fondazione «Margherita - Democrazia e Libertà», per scopi personali. L'ex senatore del Pd, uomo di fiducia di Francesco Rutelli, avrebbe creato una contabilità parallela che sarebbe sfuggita ai controlli dei revisori dei conti, perché i soldi sarebbero stati prelevati in piccola quantità. Il "malloppo" sottratto alle casse dell'ex partito sarebbe stato poi trasferito in Canada e frazionato in novanta bonifici destinati sul conto delle società «TTT srl» e «Paradiso immobiliare», della quale Lusi era unico proprietario. Infine, approfittando dello Scudo Fiscale, avrebbe fatto rientrare il capitale, investendo in immobili a Roma e dintorni (un appartamento di 238 metri quadrati in via di Monserrato, una villa seicentesca a Genzano, dove abita, e Villa Elena a Ariccia dal valore di 2,5 milioni di euro) e in altre zone d'Italia (5 proprietà a Capistrello, in provincia dell'Aquila), usando i parenti come prestanome (risultano indagati anche la moglie e il cognato) e depositando il resto sul proprio conto corrente. Il Pd lo ha espulso. Lui ha cercato di patteggiare con la Margherita offrendo una fidejussione da 5 milioni di euro, ma la sua richiesta è stata respinta. Il Gip ha poi disposto il sequestro di immobili e società. In un'intervista "rubata" a Servizio Pubblico Lusi minaccia: «Se parlo io salta tutto il centrosinistra». Rutelli lo ha querelato e ha chiesto un risarcimento di 10 milioni di euro. La Lega «ladrona» di Boni al Pirellone L'iscrizione nel registro degli indagati per Davide Boni, presidente del Consiglio regionale della Lombardia in quota Lega, arriva il 6 marzo scorso. È indagato per corruzione insieme al suo portavoce Dario Ghezzi, nell'ambito di presunte tangenti e irregolarità nella realizzazione di alcuni centri commerciali. Secondo gli inquirenti si parla di un giro di mazzette di oltre un milione di euro, che Boni avrebbe girato in buona parte alla Lega Nord. Il rappresentante del Carroccio - che si è sempre dichiarato «estraneo ai fatti» è il quarto indagato su cinque componenti totali dell'ufficio di presidenza. È stato chiamato in causa dall'architetto Michele Ugliola, già inquisito per le tangenti al comune di Cassano d'Adda. L'architetto Gilberto Leuci, cognato del grande accusatore di Boni, sostiene inoltre che «due terzi delle mazzette venivano sostenuti pro quota ai partiti che reggevano la giunta di Cassano D'Adda, Forza Italia e Lega Nord», quando Boni era assessore all'Edilizia e al Territorio. Boni non si è dimesso dal Pirellone e Umberto Bossi - che lo difende strenuamente - ha respinto un suo eventuale passo indietro nel partito. Errani e la coop rossa del fratello Vasco Errani, governatore Pd della rossa Emilia Romagna al suo terzo mandato, ha ricevuto venerdì mattina un avviso di fine indagine, in cui risulta indagato per falso ideologico in atto pubblico. I fatti: il fratello Giovanni Errani è indagato per truffa per aver ottenuto un milione di euro per una coop vitivinicola, dichiarando di avere ultimato i lavori entro i termini stabiliti per ottenere il finanziamento, pur non avendolo fatto. Il governatore, nel 2009, mandò una relazione in procura per difendersi dagli attacchi di chi lo voleva coinvolto con la coop del fratello e - secondo gli inquirenti - quel rapporto conteneva dati falsi che avrebbero potuto ostacolare le indagini. «Sono una persona onesta, non ho commesso reati, né favorito nessuno», ha comunque assicurato il presidente dell'Emilia Romagna, che prepara la sua difesa. Troppe ostriche per Emiliano «Il pesce era talmente tanto che lo avevamo messo anche nella vasca da bagno, avrei dovuto riportarglielo e ho sbagliato a non farlo. Chiedo scusa a Bari, perché non può passare per la città del sindaco che si fa comprare per ostriche e champagne, ma non lascio». Michele Emiliano si è difeso così dalle accuse di chi lo voleva troppo vicino agli imprenditori Degennaro, titolari della società Dec, finita al centro dell'inchiesta su appalti e la presunta corruzione di funzionari comunali e regionali. Ha ammesso però di aver commesso «un grosso errore» non tenendo distinta la politica dall'imprenditoria: Gerardo Degennaro, finito ai domiciliari, è infatti un consigliere regionale del Pd. Nuovi guai in vista per Scajola È Francesco Bellavista Caltagirone, imprenditore romano di 73 anni, accusato di truffa ai danni dello Stato in merito alla realizzazione del porto turistico di Imperia a tirare in ballo il deputato Pdl Claudio Scajola. In una intercettazione telefonica tra Caltagirone e Carlo Conti (ex direttore della Porto Imperia spa) «Caltagirone si lamenta del fatto che il Comune non difende abbastanza l'opera e pertanto Scajola deve intervenire e "mettere in riga i suoi uomini" che sono dentro il Comune» scrive il gip Ottavio Colamartino nell'ordinanza che ha portato all'arresto dell'imprenditore. Dal canto suo, Scajola annuncia querele.