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Lavoro, scontro sull'articolo 18 La Cgil frena. Fornero fa pressing

Il ministro del Lavoro Elsa Fornero

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Lo scoglio della trattativa continua ad essere l'articolo 18. All'indomani del vertice tra il premier Mario Monti e la maggioranza dal quale è uscito il pieno sostegno di Pd, Pdl e Udc a una riforma che ricalcherebbe il modello tedesco, il segretario della Cgil frena e gli industriali (Confindustria, Rete Imprese Italia e Abi) polemizzano. A conferma che l'appoggio dei partiti non significa che la trattativa sia vicina al traguardo. Sindacati e imprese frenano sulla riforma del lavoro? «No - risponde il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera - Le varie parti per quel che ne so hanno ancora rappresentato dei punti di loro attenzione con lo stesso spirito con cui in questi mesi si è lavorato. Sono sicuro che poi Elsa Fornero saprà trovare la composizione anche di questo ultimo miglio di difficoltà e troveremo un accordo con tutti». Susanna Camusso sembra non curarsi nemmeno del sì del Pd e ha ribadito che sulla riforma occorre l'accordo con le parti sociali. Ma soprattutto ha rimarcato che l'articolo 18 non può essere modificato come vorrebbe il governo giacchè «ha una funzione di deterrenza all'arbitrio dei licenziamenti». E quindi si tratta di «proposte che non convincono e non vanno bene». Insomma «c'è ancora molta strada da fare». Martedì prossimo al nuovo incontro con il governo, la Cgil si attende delle risposte sulla crescita e l'occupazione. Alza le barricate pure la Confindustria che con una nota congiunta insieme a Abi, Rete Imprese Italia e Ania, critica il governo per non aver «individuato le giuste soluzioni per la competitività delle imprese e, quindi, per la crescita del sistema Paese». L'attacco è sui nuovi contratti. «Le forme contrattuali che hanno garantito un buon livello di flessibilità in entrata verrebbero ridotte senza contrastare gli abusi. Non può condividersi la proposta sul contratto a termine che verrebbe reso eccessivamente oneroso e sottoposto a vincoli che non trovano riscontro nel resto dell'Europa». Zoppica anche il nuovo sistema degli ammortizzatori sociali che «porterebbe ad un aggravio dei costi. per le imprese senza agevolare i processi di ristrutturazione e lasciando i lavoratori più esposti alle crisi». Il rischio, concludono le organizzazioni datoriali, «è che le imprese italiane si trovino indebolite di fronte alla concorrenza internazionale». Il presidente dell'Abi, Giuseppe Mussari indica la linea da seguire. «Chi discrimina deve essere obbligato a reintegrare e deve essere punito, ma chi non discrimina non deve avere uno strumento che lo costringe alla reintegra. Questo è il modello che c'è in Europa e in Germania e verso questo dobbiamo andare». La Confesercenti ha fatto due conti di quanto verrebbe a costare l'Aspi, l'Assicurazione sociale per l'impiego, alle piccole e medie imprese. Avrebbero un maggior onere per 233 euro per dipendente a tempo indeterminato le imprese del commercio e turismo, per 178 euro quelle dell'artigianato, mentre l'industria risparmierà 69 euro. Ancora più salati i costi per i dipendenti a tempo: 524 euro in più al commercio e al turismo, 455 euro per le imprese dell'artigianato, 207 euro per l'industria. Va rivista quindi la proposta sulla flessibilità in entrata perchè la nuova proposta, parola del presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, «prevede un aumento di costi e di burocrazia, con il rischio che invece di aumentare l'occupazione ci sia una riduzione». Non solo. «Se non si fa una buona riforma c'è il rischio dei mercati». Ottimista invece il leader della Cisl Raffaele Bonanni. «Se ciascuno si mantiene in equilibrio sapendo che le parti sono tante, e bisogna farle convergere sullo stesso punto», la convergenza è possibile. Poi ha aggiunto: «Spero che nessuno strappi una tela cosí lungamente tessuta in modo certosino». Incalza il ministro Fornero: un'intesa è imprescindibile, ed è per il futuro dei giovani e del Paese.

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