Il Csm boccia la responsabilità
La casta salva se stessa. Questa volta i politici non c'entrano. Sono le toghe a scendere in campo per difendere i propri privilegi. A preoccupare è la norma sulla responsabilità civile dei magistrati prevista dall'emendamento del leghista Gianluca Pini, passato alla Camera grazie a un blitz di Pdl e Lega (nonostante il parere contrario del governo) e attualmente all'esame della commissione Giustizia del Senato. Ecco allora che il Consiglio superiore della magistratura annuncia battaglia. Il plenum di Palazzo dei Marescialli ha approvato ieri, a larga maggioranza, un parere che boccia senza se e senza ma il provvedimento in questione. La norma espone il sistema «al rischio di implosione - rileva il Csm - Il quadro che se ne ricava è allarmante». Il documento, neanche a dirlo, passa quasi all'unanimità: si oppongono ai 19 sì, solo i tre voti contrari espressi dai membri laici del Pdl Nicolò Zanon e Bartolomeo Romano e della Lega Ettore Albertoni. L'altro laico del Pdl Annibale Marini ha votato con la maggioranza, come ha fatto pure il vice presidente del Csm Michele Vietti. Il documento verrà ora trasmesso al Guardasigilli, Paola Severino. A preoccupare il Csm è soprattutto la possibilità che viene introdotta di agire direttamente nei confronti del magistrato da parte di chi si sente danneggiato dalla sua decisione, invece che verso lo Stato come prevede attualmente la normativa. «Il magistrato, destinato a scegliere tra tesi contrapposte, potrebbe essere condizionato e influenzato in tale scelta e portato a preferire la soluzione che lo possa meglio preservare dal rischio dell'esercizio dell'azione diretta», piuttosto che quella «maggiormente conforme a giustizia», avvertono i consiglieri. Ed è proprio questo aspetto - che peraltro rende l'Italia unica, visto che «in nessun Paese europeo è prevista la possibilità indiscriminata di intraprendere un'azione diretta per responsabilità civile del giudice» - ad esporre «il sistema al rischio di implosione». Quella dei togati, però, non è una chiusura totale: una possibile rivisitazione della materia, si legge ancora nel parere, «può venire disancorando la responsabilità dello Stato da quella del magistrato». Da un lato, dunque, assicurare «la piena tutela risarcitoria» in caso di errore, dall'altro, però, non snaturare quei «principi di autonomia e di indipendenza» fondamentali per la democrazia. I magistrati dipingono scenari apocalittici. Il sistema giudiziario può diventare «davvero ingestibile», avvertono: c'è infatti il rischio che le parti, «attraverso l'esercizio immediato e diretto dell'azione nei confronti del magistrato, possano costringere il giudice non gradito all'astensione ovvero, possano, indirettamente, scegliersi il proprio giudice». Nessuno poi - tecnici compresi - provi a tirare in ballo l'Ue. Nessuno dica: «È l'Europa che ce lo chiede». Perché - sottolineano da Palazzo dei Marescialli - non è affatto vero che l'Europa ci chiede di modificare le nostre attuali regole («non può in alcun caso addursi la normativa comunitaria a sostegno della necessità di modificare il regime di responsabilità del giudice nazionale»), anche perché «i limiti previsti dalla legge italiana sulla responsabilità civile dei magistrati sono conformi alla legislazione degli altri Paesi europei». La polemica politica arriva subito dopo, con Capezzone pronto ad attaccare Palazzo dei Marescialli («Non è la terza camera, rispetti il Parlamento») e Di Pietro lesto ad applaudire lo «schiaffo sonoro dato dal Csm alla politica giudiziaria alla Berlusconi maniera». L'ascia di guerra è dissotterrata.