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Processo Dell'Utri: il Cav: "Diciannove anni di gogna"

Dell'Utri e Berlusconi

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La vicenda processuale che ha visto protagonista Marcello Dell'Utri è una «cosa incredibile», una storia durata «diciannove anni di sofferenza e di gogna». Silvio Berlusconi punta il dito contro la magistratura. Usa parole quasi "autobiografiche" per commentare la sentenza con cui la Cassazione ha annullato la condanna in appello per il senatore del Pdl Marcello Dell'Utri per concorso esterno in associazione mafiosa. Ma non solo il Cav si sfoga, è tutto il partito a fare quadrato attorno al parlamentare e ad andare all'attacco di quelle toghe che tra ieri e sabato hanno espresso critiche e commenti negativi all'esito processuale. Il più duro è proprio il segretario del Pdl Angelino Alfano che da Udine, intervenendo a una assemblea regionale del partito, è sceso in campo contro «i commenti violenti espressi dal partito della magistratura». Poi ha rincarato la dose: «Quando le sentenze erano di loro gradimento, dicevano che le sentenze non si commentano. La magistratura è divisa in partiti che per eufemismo si chiamano correnti; correnti che fanno congressi e che hanno iscritti». Uno sfogo nato dal rammarico per aver letto «sui giornali dichiarazioni in cui si chiede di cancellare quella sentenza». Un chiaro riferimento alle parole del procuratore aggiunto di Palermo, Pier Antonio Ingroia, che in un'intervista al Fatto Quotidiano ha parlato di «colpo di spugna sul metodo Falcone». E, a stretto giro, è proprio lo stesso Ingroia a replicare ad Alfano: «Non c'è alcun partito dei giudici ma solo la necessità di uscire dalle sterili polemiche politiche gridate». «Nessuno può cancellare le sentenze. Tutti i provvedimenti giudiziari possono e devono essere soggetti a critiche che sono legittime quando sono argomentate. Non si può dire la stessa cosa con gli insulti e gli attacchi sguaiati. Occorre un confronto civile nel rispetto di tutti e di ciascuno». Ma non è solo Ingroia ad aver agitato le acque nel Pdl, anche Giancarlo Caselli, procuratore di Torino ed ex procuratore capo a Palermo, ci ha messo del suo e lo ha fatto in un'intervista a Repubblica: «La requisitoria del sostituto procuratore generale della Cassazione Iacoviello non ha ferito solo me ma Giovanni Falcone che ha teorizzato e concretizzato nei maxiprocessi il concorso esterno in associazione mafiosa. Le affermazioni di Iacoviello sono quantomeno imbarazzanti». Parole alle quali ha replicato il capogruppo Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto: «Evidentemente al dottor Caselli sono saltati i nervi se invoca addirittura provvedimenti disciplinari del Csm nei confronti di Iacoviello per l'arringa fatta e per quello che ha detto sul reato di concorso esterno in associazione mafiosa. A proposito: è evidente che esso consente dei margini incredibili di discrezionalità anche a pm politicizzati per cui va eliminato o comunque profondamente rivisto come sostiene anche Luciano Violante». Giudizi condivisi dal collega vicecapogruppo del Pdl al Senato Gaetano Quagliariello: «Il crescendo rossiniano di aggressioni di colleghi magistrati nei confronti di Iacoviello culmina oggi con l'invocazione da parte di Giancarlo Caselli di un'iniziativa disciplinare e dell'intervento del Csm. Riaffiora evidentemente la tentazione di considerare il Csm non organo di autogoverno ma camera di compensazione politica nella quale tutelare gli "allineati" anche a fronte di comportamenti scorretti e punire gli "eretici" che osano interpretare il proprio ruolo seguendo la legge e la Costituzione». Ma c'é anche chi cerca di spegnere il fuoco delle polemiche proponendo di mettere i paletti al concorso esterno per evitare processi inutili. È il caso di Schifani che rileva come questo reato, tuttora, «non è iscritto nel codice» e pertanto, se il Parlamento ne fissasse i cardini, «si farebbe un grande passo in avanti». Della stessa idea è lo stesso Violante: a suo avviso, il concorso esterno «esiste», ma il pg Iacoviello «ha ragione nella sua richiesta di stabilire con chiarezza quali comportamenti costituiscono un contributo all'organizzazione mafiosa. Ma questa chiarezza spetta al governo e al Parlamento».

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