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Dalla Trincea del Pd a mediatore. Schifani tessitore del dopo Silvio

Il presidente del Senato Renato Schifani

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Sono lontani gli anni passati nella trincea di Forza Italia, tra i berluscones della prima ora. Il presidente di Palazzo Madama, Renato Schifani, ha lasciato da tempo i panni dell'uomo di parte per diventare il grande mediatore. Ne prenderanno atto anche i meno entusiasti dell'avvocato siciliano, che nel febbraio del 1995 decise di aderire al partito del Cavaliere. Basterebbe confrontarlo con il presidente della Camera, Gianfranco Fini, che, invece, ha avuto una metamorfosi contraria. Ormai Schifani è diventato un punto di riferimento. Non è un caso che negli indici di fiducia testati da Ipr Marketing sia cresciuto dall'inizio della legislatura di 35 punti percentuali. È più di dieci punti avanti a Fini. È secondo soltanto al presidente della Repubblica Napolitano. La parabola di Schifani, da irriducibile di Berlusconi a uomo delle Istituzioni, è stata netta. Anche imprevista. È ormai sbiadito il capogruppo che riuscì a far eleggere presidente della Commissione Difesa il senatore Sergio De Gregorio in cambio dell'abbandono della risicatissima coalizione che sosteneva l'allora premier Romano Prodi. Sbiadito anche l'autore del lodo che avrebbe sospeso i processi in corso per le cinque più alte cariche dello Stato. Invece alcune settimane fa Schifani ha incontrato il presidente dell'Anm, Luca Palamara, per tentare di arrivare a una mediazione sulla responsabilità civile per i magistrati. Non solo. È riuscito a far sì che il previsto inserimento in ruolo di 150 toghe, escluso dal decreto Milleproroghe, venisse recuperato nel testo sulle liberalizzazioni. Su questo decreto ha avuto un ruolo fondamentale. Mica semplice disinnescare le tensioni in un Paese che da sempre si tiene su un incrocio di interessi e privilegi. Ha fatto la sua parte. Come nella prima e nella seconda manovra economica del governo Berlusconi. Addirittura ad agosto scorso ha seguito passo passo l'attività della Commissione Bilancio. Quant'è distante il berlusconiano che fino a pochi anni fa suscitava ai giornali di Sinistra reportage dai titoli sarcastici? Raccontando l'irresistibile ascesa dell'avvocato diventato capo dei senatori di Forza Italia, il Venerdì scrisse a caratteri cubitali: «Una vita da Schifani». Tanto per sottolineare la pena di un soldato premiato dal Cavaliere e pronto a difenderne ogni gesto. Preistoria. Adesso Schifani è riuscito ad attirarsi anche le critiche del suo stesso schieramento. Un merito. Ha benedetto l'ultimo tentativo di intesa sulle riforme tra Pdl, Pd e Udc: «Mi sembra un buon lavoro che registrerà grandi consensi». Ieri ha rilanciato la necessità di allargare il campo dei moderati (anche alla Lega). È stato chiaro sulla legge elettorale. Il Porcellum? «Va abolito, non vi è dubbio» ha detto ospite del programma tv dell'Annunziata. Piuttosto serve un sistema «che renda i cittadini protagonisti». E proprio su questo terreno ha capito prima degli altri big che l'antipolitica rischia di mangiarsi le Istituzioni. Quando a luglio scorso fece scandalo sul web il menù super economico del ristorante del Senato, chiese pubblicamente ai questori di alzare i prezzi. Li ha spinti a mettere a pagamento la barberia, s'è speso per bloccare il turn over dei dipendenti del Senato e per abolire i vitalizi. Ha quasi azzerato i benefit degli ex senatori. Ha «tagliato» (un po') anche se stesso: ha preteso di cancellare i privilegi a vita degli ex presidenti del Senato (ufficio, segreteria e auto blu) e di ridurli a dieci anni dopo la fine del mandato. Un passo avanti. Ha rilanciato la legge per il contrasto della corruzione: dovrebbe avere «la priorità». Nel 2009 aveva allungato i tempi del confronto sul pacchetto giustizia evitando le forzature del centrodestra. Non poteva non mediare anche tra i partiti e il governo Monti. L'ultima battaglia è stata quella per evitare la lettera dei senatori del Pdl per chiedere le dimissioni del ministro Riccardi. La penultima l'ha vinta senza muovere un dito. Quando i leghisti lo hanno offeso in Aula. Ha fatto buon viso a cattivo gioco. Semplicemente. Pochi mesi fa, a giugno, è stato il capogruppo del Pd, Anna Finocchiaro, a ringraziarlo per la sua mediazione sull'articolo 1 del ddl anticorruzione, sottolineando «la sua coerenza e il rispetto delle intese». Se lo dice pure il Pd...

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