Rai: hanno inizio le grandi manovre
Alla battaglia per il rinnovo del cda della Rai si aggiunge un nuovo capitolo. Ieri è stato il presidente del Senato, Renato Schifani, a mettere un ulteriore tassello al dossier dell'assetto del ponte di comando della televisione di Stato dichiarando il suo no alla proroga all'attuale consiglio di amministrazione e il sì invece a un rinnovo «appellandomi ai partiti perché le indicazioni per il Cda rispondano a requisiti di autonomia, di indipendenza, di professionalità». Sulla questione della governance Rai «Monti potrebbe provarci solo con decreto legge. Ora non so se vi sono i presupposti e i tempi perché un decreto legge possa essere varato, sarebbe eventualmente il presidente della Repubblica a valutarne l'urgenza o meno» ha aggiunto la seconda carica istituzionale dello Stato. Che ha premesso però che «ci sono sentenze della Corte costituzionale che delegano il Parlamento come organo di indirizzo e controllo della Rai, in quanto il Parlamento - essendo organo rappresentativo della comunità - è elemento di garanzia perché la Rai, servizio pubblico, attui il pluralismo e la trasparenza nella comunicazione». Schifani ha anche ricordato che «la Corte costituzionale è stata chiara e quindi dev'essere il Parlamento. Oggi abbiamo la legge in vigore, la legge Gasparri, si può anche cambiare o meno...». E comunque «io temo che i tempi non vi siano, data la scadenza». Insomma la guida della Rai deve rispondere all'equilibrio tra le forze politiche del Paese. Il problema è capire quale sia oggi l'effettivo peso delle forze in campo. L'ingresso del governo tecnico e il logoramento nella fase finale del precedente governo ha sicuramente modificato gli assetti. Non è però chiaro ancora in che misura. Dunque la prima domanda è capire dove trovare una fotografia, la più realistica possibile, del quadro politico. Risposta semplice. Il primo test elettorale alle porte è quello della amministrative. Dunque le nuove nomine, secondo fonti consultate da Il Tempo, non sarebbero fatte prima dei risultati del voto. Tecnicamente la proroga degli attuali componenti è semplice, e prevista dal codice civile. Prima di cambiare o confermare gli amministratori di una società, infatti, occorre dare il via libera al bilancio aziendale. E le regole civilistiche consentono di fare questa operazione anche oltre la normale scadenza prevista cioè i 120 giorni dalla chiusura dell'esercizio. In alcuni casi i conti possono essere approvati anche entro 180 giorni dalla chiusura. Un lasso di tempo che coincide con il mese di giugno. Dunque ben oltre la data delle elezioni. C'è ancora tempo insomma per misurare, con pesi diversi dagli attuali, la composizione della governance della Rai. Che non può più prescindere però da un programma di riorganizzazione interna in parte già abbozzato nelle sue grandi linee. Manager pubblici che seguono il dossier confermano a Il Tempo che la direttrice principale prevede la necessità di separare nettamente la parte della Rai che può essere finanziata dal canone da quella che può sopravvivere con i mezzi di mercato. In sintesi: due reti con incassi solo pubblicitari e una rete dedicata integralmente al servizio pubblico e dunque gestita solo con i mezzi raccolti con la tassa di possesso sul televisore. Non solo. Nel piano per aumentare l'efficienza aziendale ci sarebbe anche la cessione di alcuni asset. Il caso citato dagli stessi manager è quello di Rai Way, la società che ha in pancia il 100% della proprietà degli impianti di trasmissione. Una società che potrebbe essere tranquillamente messa sul mercato e nella quale la holding Rai potrebbe mantenere una quota del 51%, o anche più bassa, riconoscendo ai soci finanziari flussi di cassa regolari. Le risorse ottenute potrebbero essere utilizzate per la ripatrimonializzazione, per gli investimenti oppure per la copertura di parte dei deficit. Tra gli altri elementi del piano ci sarebbe anche lo sviluppo delle attività future che prevede un potenziamento del web per seguire l'evoluzione della comunicazione che privilegia sempre di più la rete. Ancora, tra le linee di riorganizzazione, ci sarebbe la valorizzazione del patrimonio Rai. Un capitolo che prevede il completamento della digitalizzazione delle «Teche Rai» e soprattutto l'impulso alla capacità interna di produrre contenuti da offrire sul mercato, quindi giocoforza, anche alla due reti Rai mantenute solo con gli spot. Sulla stessa linea sarebbe compresa anche la rigenerazione delle reti regionali con l'assegnazione di nuove missioni: la valorizzazione delle eccellenze dei territori coperti e la creazione di un servizio di comunicazione per gli investimenti nelle stesse aree, anche quelli arrivati con fondi europei. Infine i costi. Molte sedi della tv di stato sono ridondanti. Un caso su tutti sono gli uffici Rai di Milano, fortemente voluti dalla Lega, e che potrebbero essere gestiti anche solo con un rafforzamento delle strutture informatiche a chi le dirige. Che potrebbero dunque essere ricollocati negli uffici romani od operare in ambiente remoto da qualunque punto della Penisola. Insomma secondo chi sta stilando il piano di riorganizzazione la filosofia da seguire da parte della Rai è quella di avere meno stanze a disposizione, intese nel senso di investimenti per affitti e locazioni. Un ridimensionamento che porterebbe anche alla diminuzione dei «corridoi», intesi in senso lato, dove sempre più spesso è deciso il destino della Rai. Un programma questo solo abbozzato ma già in cammino nelle stanze ministeriali che hanno competenze sulla televisione di stato. E che potrebbe subire un'accelerazione come sottolineato se, dalla urne di maggio, uscissero nuove composizioni politiche. Nuovi equilibri determinerebbero una governance diversa da quella che si potrebbe avere a bocce ferme oggi guardando al Parlamento. Le grandi manovre sono dunque solo all'inizio.