Bersani prova a uscire dall'angolo
Pier Luigi Bersani si affida a Twitter. «Sentendo i toni di Alfano chiedo se siamo già in campagna elettorale - scrive -.Nel caso ci tenga informati, vorremmo partecipare». Il segretario del Pd, dopo aver replicato e polemizzato con il leader del Pdl, prova a ironizzare su un'ipotesi che, in realtà, non lo lascia affatto tranquillo. I Democratici, infatti, hanno tutto da perdere da una campagna elettorale in questo momento. La mossa di Angelino Alfano, che ha fatto saltare il tavolo del vertice ABC, li ha spiazzati. Il leader del Pdl si sta intestando la battaglia sulla riforma del mercato del lavoro e ha lanciato una vera e propria crociata contro le banche che non finanziano le imprese. Temi popolari che hanno rianimato il suo partito. Non solo, ma allo stesso tempo sta cercando di insinuare nell'elettorato la percezione che Pd e Udc si muovono secondo logiche vecchie, interessati solo alle poltrone, in particolare quelle di Viale Mazzini. Certo Bersani non ci sta e replica: «Quando c'è da parlare di corruzione e frequenze tv, scoprono anche il lavoro. Hanno scoperto il lavoro questa settimana, la prossima poi vediamo...Noi pensiamo davvero che il lavoro sia il punto». Ma allo stato dei fatti il contrattacco appare piuttosto debole. A nessuno, infatti, è sfuggita l'assenza di esponenti Democratici al corteo Fiom di venerdì. Né il trattamento che la piazza ha riservato al leader del Pd, criticato e contestato. Anche la giustificazione ufficiale, la presenza di esponenti No Tav sul palco, non è proprio un messaggio incoraggiante per una parte del popolo di centrosinistra che considera l'opera dannosa e da non realizzare. E non è un caso che i manifestanti anti-Tav abbiano preso di mira, nelle scorse settimane, le sedi dei Democratici, a partire da quella nazionale di Sant'Andrea delle Fratte. C'è poi la vicenda delle primarie di Palermo che ha dato l'immagine plastica di un partito diviso in cui il segretario è continuamente sotto attacco. Insomma Bersani e i suoi continuano a pagare il prezzo più alto per il sostegno al governo Monti. Lo stesso leader lo ha detto chiaramente in un'intervista a Repubblica: «È una fatica, ma è necessario». Peccato che non tutto il suo elettorato la pensi così. A partire dalla «signora del supermercato» (Pier Luigi l'ha citata nella stessa intervista autolodandosi perché lui «va al supermercato») che si lamenta per la riforma delle pensioni, fino agli operai che sono piuttosto preoccupati per ciò che sta accadendo sul tema del lavoro. E lo sono sicuramente di più ora che Alfano sta cercando di prendere il comando delle operazioni. Anche per questo Bersani prova a fissare dei paletti. «Sbrogliamo questa cosa del lavoro - avverte parlando durante la tappa romana del suo viaggio per l'Italia dedicata a giovani e precariato - e facciamolo con un accordo: se il tavolo fallisce stavolta non è come fossimo ai tempi di Sacconi e compagni, non funziona così. Stavolta è un liberi tutti, non è che uno che si alza e se ne va. Ci vuole un accordo e subito pensare a come dare un po' di stimoli all'economia». Quindi invita Monti e Fornero a non farsi dettare la linea dai mercati che «chiedono un segnale che l'Italia intende essere attrattiva in quanto deregola il sistema». Anche perché, spiega, «l'applauso» dei mercati durerebbe «solo due giorni». Per questo non bisogna «mettere in mezzo obiettivi che non hanno senso e che non ci porterebbero a niente di buono come l'articolo 18», ma neanche si può pensare di introdurre in Italia «qualcosa che somiglia alla Danimarca» senza «metterci un euro. La Bce lo sa che la flex-security costa. Sugli ammortizzatori sociali dobbiamo fare passi verso un sistema universalistico, ma non si fanno le nozze con i fichi secchi». Insomma, se Alfano alza la voce, sappia che i Democratici non resteranno a guardare. Ma la strada è in salita. E un clima da campagna elettorale rischia di far deflagrare le differenze che da sempre caratterizzano il partito. Da non dimenticare, poi, il nodo della premiership. Bersani e i vertici del Pd continuano a sottolineare come lo statuto affidi al segretario il ruolo di candidato premier, ma la cosa è tutt'altro che scontata. Anche il presidente del gruppo L'Espresso Carlo De Benedetti, parlando a Servizio Pubblico, si è permesso di far notare come Pier Luigi sia ormai l'espressione di una classe dirigente che i cittadini non vogliono più. Servono nomi e volti nuovi, ma il rinnovamento porta con sé l'inevitabile resa dei conti tra le correnti democratiche. Che presumibilmente si darebbero battaglia anche per decidere le alleanze con cui presentarsi alle urne. Per Bersani il futuro è tutt'altro che roseo.