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Lo spettro della tecnocrazia

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Da qualche tempo tutti quelli che nel 1993-'94 in poi avevano inneggiato e lavorato per l'attuale sistema politico cantando le lodi dei partiti personali oggi, delusi ed avviliti, prendono le distanze ipotizzando cose sempre peggiori. E ci spieghiamo. Quando vent'anni or sono si innescò l'aggressione ai partiti che avevano vinto le elezioni del 1992 sul doppio versante del finanziamento alla politica e su quello velenoso della mafia, passò nel Paese un messaggio rovinoso secondo il quale i partiti, eccezion fatta per il vecchio Pci, erano solo covi di malaffare. Il messaggio subliminale diffuso a più riprese dalla grande stampa di informazione che completava il disegno messo in atto da una parte della borghesia azionista fu che le stesse grandi culture politiche, quella socialista, quella liberale e quella democratico-cristiana erano, ormai, superate perché figlie di quel mondo diviso in due e in via di dissolvenza dopo il crollo del muro di Berlino. Un'impostazione culturale e politica dolosa (in Europa avveniva il contrario) portata avanti da un gruppo di intellettuali legati a fil doppio coi due maggiori giornali italiani e ad alcuni ambienti economici e finanziari e quasi tutti provenienti dalle file del vecchio Pci. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Vent'anni di follie con un debito aumentato sino all'inverosimile, un crescente impoverimento del ceto medio italiano e un selvaggio saccheggio del patrimonio pubblico nazionale (banche, grandi aziende industriali, utility) letteralmente svendute ai soliti noti o agli ambienti stranieri di riferimento. Vent'anni in cui i partiti personali hanno messo nelle mani esclusive dei tecnici ( Barucci, Dini, Ciampi, Tremonti più volte, Siniscalco, Padoa-Schioppa e oggi Monti) il governo di un'economia che non cresce più da almeno 15 anni. Nel frattempo il coro entusiasta che cantava la modernità dei partiti personali non si accorgeva che la scomparsa della democrazia dentro tutti i partiti stava lentamente producendo un'autoreferenzialità delle istituzioni (ogni sindaco o presidente di regione era un partito a sé) uno sfarinamento del paese con una guerra di tutti contro tutti ( la marcia dei mille sindaci a Milano ne fu la testimonianza palese) e una selezione cortigiana della classe dirigente. La presunta modernità dei partiti personali in alcuni casi si accompagnava ad uno scimmiottamento filoamericano con l'introduzione, ad esempio, dello strumento delle primarie che, come dimostrano i casi di Napoli, Milano, Genova e Palermo, piuttosto che recuperare democrazia davano il colpo mortale al ruolo dei partiti in quanto tali e un viatico verso l'assemblearismo. Giunti al capolinea del disastro la crisi profonda dei partiti ha generato un governo tecnico di brave persone in cui le uniche esperienze "di governo in senso lato" sono quelle di Monti, Passera e Catricalà. Quel gruppo di intellettuali, capofila Michele Salvati, culturalmente responsabili del disastro descritto adesso cominciano a percorrere un altro sentiero altrettanto irresponsabile e gravido di ulteriori e più drammatici rischi. In un editoriale sul " Corriere della Sera" Michele Salvati, uno dei capofila di questa " nouvelle vague" del pensiero politico passato dal vecchio Pci al dilettantismo liberale, non a caso sostiene che anche la prossima legislatura dovrà essere guidata dall'attuale governo tecnico nella sua interezza. I partiti avranno, secondo il Salvati-pensiero, il compito di riformarsi non si sa in quale direzione e di sostenere nelle piazze e nel parlamento chi è troppo occupato a governare per misurarsi con il consenso popolare. Insomma, un governo elitario e tecnocratico che non risponda né al paese nè al parlamento ma solo alle elite finanziarie internazionali di cui molti di loro fanno parte. Per dirla in breve ad un capitalismo finanziario selvaggio che sta mettendo in ginocchio nell'occidente l'economia di marcato, dovranno corrispondere governi tecnocratici sempre più liberi dal consenso popolare. Una prospettiva drammatica per la società italiana ma anche un allarme democratico per l'intera Europa. L'editoriale di Salvati contiene questo nefasto messaggio e l'antidoto a questa visione tecnocratica è l'immediato recupero delle grandi culture politiche e la collegialità democratica nella guida dei partiti. Se questo non dovesse avvenire avremmo il governo del denaro e della elite tecnocratica che, nel medio periodo, produrrebbe sommovimenti sociali a loro volta portatori di tempeste e, forse, anche di lutti.  

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