Tangenti in Lombardia: "Un milione alla Lega"
Dal cappio mostrato a Montecitorio (era il 16 marzo 1993 e Luca Leoni Orsenigo, deputato della Lega Nord, lo sventolava in Aula nell'esplicito riferimento alla necessità di fare pulizia di una classe politica corrotta) all'avviso di garanzia notificato ieri a Davide Boni, presidente (leghista) del Consiglio regionale della Lombardia indagato per corruzione, passando per rimborsi elettorali investiti in Tanzania. A via Bellerio tira una brutta aria. Dall'inchiesta, nata da un'indagine su alcune mazzette che riguardano i vecchi amministratori del Comune di Cassano D'Adda (Milano) - e piombata ai piani alti del Pirellone mentre il Consiglio discuteva, casualità, della nuova legge sull'edilizia - emerge un giro di tangenti di oltre un milione di euro. Soldi che sarebbero stati versati in contanti tra il 2008 e il 2010, nell'ambito di una decina di accordi corruttivi, a Boni (allora assessore regionale all'Edilizia e al Territorio) e al capo della sua segreteria Dario Ghezzi (anche lui indagato insieme all'imprenditore Luigi Zunino) in cambio di alcune modifiche al piano urbanistico. I pm parlano di «pieno coinvolgimento» dell'esponente Lùmbard: a inchiodarlo sarebbero alcune intercettazioni telefoniche, anche se a parlare delle presunte tangenti ai magistrati sarebbe stata anche una «fonte interna» alla Lega. Secondo gli inquirenti, inoltre, Boni e Ghezzi «utilizzavano gli uffici pubblici della Regione come luogo di incontro per concludere gli accordi». Ecco perché ieri il procuratore aggiunto Alfredo Robledo e il pm Paolo Filippini, titolari dell'inchiesta, hanno mandato la Finanza a perquisire le loro stanze al Pirellone. Di più. Gli inquirenti starebbero valutando se contestare ai due leghisti pure il reato di finanziamento illecito ai partiti. Già, perché da quanto si è saputo, una parte dei soldi sarebbe arrivata direttamente alla Lega, attraverso un sistema di tangenti. Le mazzette, sempre secondo l'accusa, non sarebbero "passate" da via Bellerio, ma sarebbero finite direttamente ad alcuni amministratori locali, tra cui l'esponente del Carroccio Marco Paoletti, anche lui indagato. «In relazione ai fatti oggi contestati anticipo sin d'ora la mia totale estraneità», replica prontamente Boni, che assicura «piena disponibilità» a chiarire la sua posizione con gli organi inquirenti «in modo da poter fare piena luce sulla vicenda nei tempi più rapidi possibili». Intanto al Pirellone c'è chi comincia a parlare di una "maledizione", un'ombra nera. Dopo Filippo Penati (Pd), Franco Nicoli Cristiani e Massimo Ponzoni (entrambi Pdl), Boni infatti è il quarto membro, su un totale di cinque, dell'originario ufficio di presidenza del Consiglio regionale lombardo ad essere colpito da provvedimenti giudiziari. Nei casi precedenti, i politici coinvolti si sono dimessi. È chiaro, quindi, che il caso infiammi il dibattito politico in Regione Lombardia, con Idv e Pd (ad esclusione dell'unico membro dell'ufficio di presidenza non toccato da indagini, il democratico Spreafico, secondo cui «la presunzione di innocenza vale per tutti») che chiedono un passo indietro di Boni ed elezioni immediate, l'Udc che è favorevole alle dimissioni, ma non al voto, e il Pdl non chiede né le une né le altre. Dalla Lega, il partito di Boni, si spiega che, al momento, «non c'è alcuna richiesta formale di dimissioni», anche se i primi malumori cominciano a farsi sentire. Secondo Gian Paolo Gobbo, sindaco leghista di Treviso, il presidente del consiglio regionale dovrebbe pensarci bene: «Se fossi in lui - spiega a Radio 24 - mi dimetterei oggi stesso, anche per essere più libero nella difesa». Cauto, ma non troppo, Roberto Formigoni: «Seguiremo con attenzione l'evolversi delle vicende, ma fino a giudizio emesso vale il principio della presunzione di innocenza - spiega il governatore lombardo - Se fossero dimostrati degli atti dannosi nei confronti della Regione Lombardia ci costituiremo parte civile come parte lesa - aggiunge - però attendiamo di sapere di più». Già, attendiamo. Nell'attesa, però, sarebbe carino non sentire più prediche levarsi dalla Padania. Perché si può anche tollerare (vedi foto in alto) che «le donne leghiste sono le migliori», ma «Roma ladrona» proprio no.