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Verini: "Il partito non si chiuda a Sinistra"

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Walter Verini del Pd

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Nessuna resa dei conti. Ma nemmeno lo stupore che ci si potrebbe aspettare dopo una batosta, l'ennesima. Anzi. Dalle primarie di Palermo «arriva una conferma molto chiara». Parola di Walter Verini, deputato del Partito democratico e braccio destro di Walter Veltroni. Cosa è successo a Palermo? Cosa ha sbagliato il Pd, questa volta? «È successo quello che andando in giro a fare assemblee e parlando con i cittadini è evidente da tempo: la nostra base elettorale sostiene il governo Monti, gradisce il suo operato. E capisce poco chi accetta questo esecutivo come una dura necessità, con il freno a mano tirato o con il mal di pancia». Ogni riferimento a cose e persone è puramente casuale... «Il fatto è che un Pd schiacciato a sinistra, arroccato su posizioni anni '70 è minoritario nel nostro elettorato. E dispiace che a farne le spese sia stata una persona di grande valore come Rita Borsellino». Ferrandelli e Faraone insieme hanno totalizzato quasi il 70% delle preferenze. Non sarà l'urto della novità che vince contro quanto è appoggiato dall'alto, dal partito? «Questo credo sia vero solo in parte. Certo la crisi dei partiti esiste e penso sia ancora più marcata a Palermo, ma secondo me questa spinta è riscontrabile più nell'ottimo risultato di Faraone che non nella vittoria di Ferrandelli. Il suo schieramento non era certo innovativo». Il legame con Lombardo... «Già. Vede io credo che il Pd abbia pagato molto il fatto di non aver saputo sciogliere la forte ambiguità rappresentata dalla giunta Lombardo. Era necessario uscire da quella giunta, farla finita con il consociativismo. Solo che non siamo stati decisi. Qualcuno ha anche proposto un referendum, ma poi non si è fatto nulla. E l'ambiguità ci ha penalizzato». Le primarie hanno in parte sostituito questo referendum su Lombardo? «Non lo so, non credo. L'unico candidato riconducibile al governatore siciliano, quello che ha vinto, non ha fatto l'80%. L'elettorato si è diviso in tre. Il dato politico rilevante è che, comunque, lo schieramento che sosteneva la Borsellino ha avuto il 70% di voti negativi. Cioè 70 elettori di centrosinistra su 100 hanno detto no alla foto di Vasto». Sul banco degli imputati adesso c'è Bersani. Dovrebbe fare un passo indietro? «Escludo che il tema si debba porre in questo modo. Certo è che - alla luce del risultato di Palermo, ma da parecchio tempo ormai - il Nazareno sembra un fortino sotto assedio, da cui partono inutili esibizioni di forza». Che intende? «Le spiego: Ichino pone un problema? Subito qualcuno dice che Ichino rappresenta il 2% del partito. Qualcun altro ha una posizione diversa? Viene subito etichettato come "conservatore". Scalfari fa un ragionamento contro corrente? Dalla segreteria parte la nota: "Un confuso Scalfari..."». Fino ad arrivare alla frase tipica: "Facciamo un congresso e ci contiamo". Sono esibizioni muscolari che non servono a nessuno».  Niente congresso, quindi?  «Sono atteggiamenti di chiusura. Il Pd, invece, ha bisogno del contrario. Né congressi, né dimissioni: serve un dialogo. La Direzione, ad esempio, non si riunisce dal 3 ottobre. C'era ancora Berlusconi, nel frattempo è cambiato il mondo. C'è Monti adesso». Già, Monti. È un peso per il Partito democratico? «Ma no. Secondo i sondaggi l'85% dei nostri elettori è con lui. Il nostro problema è che non riusciamo a vivere questa esperienza del governo Monti, che per noi è fondamentale, nel modo giusto. Non è una medicina amara da mandar giù: è una formidabile opportunità. Sta cambiando il Paese e il Pd deve cogliere questa sfida riformista». "Non lasciamo Monti alla destra", insomma? «Più che altro, direi, restituiamo il Pd agli italiani».

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