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Il flop della satira orfana di Silvio. Affonda anche la Dandini

Serena Dandini

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La prevedibilità è la morte della televisione e la tv generalista di oggi, nell'era tecnica di Mario Monti, ha il finale scontato prima ancora di cominciare. Il fatto è che la maggior parte (se non la totalità) dei programmi è rimasta impelagata nel passato, manichea nel racconto di un'Italia pro o contro Berlusconi. Ai tempi del Cavaliere la narrazione la scriveva lui, uomo eterodosso e mai prevedibile: i talk, i telegiornali, i programmi di satira potevano permettersi la comodità dell'essere pigri, persino noiosi tanto il pepe l'avrebbe sparso Silvio. Una telefonata che non ti aspetti, una festa di troppo, un complimento galante ad una bella ragazza, un kapò detto parlando in Europa, le corna ad un vertice od un bel cucù (così poco hegeliano) alla Merkel, tutto poteva accadere con il Cav, attore politico ed insieme autore televisivo. Quella stagione tv faustiana e teatrale, cominciata alla fine degli anni Ottanta con le linee roventi (sotto forma di processi) di Giuliano Ferrara, le Samarcanda di Michele Santoro, nel 2012 è finita. Il fronteggiarsi de Il rosso e il nero - altro programma santoriano, stagione 1993-94 - che ha tracciato la fine della I Repubblica e l'inizio della stagione di Berlusconi, oggi non funziona più. I protagonisti politici sono logorati ed occorre il coraggio di sperimentare. Sul finire della I Repubblica i programmi di Santoro, Lerner, Ferrara ebbero l'intuizione di aprire ai nuovi protagonisti: i missini sdoganati, la Lega sgrammaticata e nordista, la società civile, i movimenti. Persino il trash. Oggi, vent'anni dopo, occorre uno sforzo di rinnovamento perché mettere Maurizio Gasparri vs Anna Finocchiaro in un talk show sa di stantio, come un cinegiornale dell'Istituto Luce (ma senza il piacere dell'archivistica). Eppoi, con il fantasma della crisi alle porte, il rischio dell'unanimismo catodico è sempre dietro l'angolo. Prendiamo i telegiornali: appena un anno fa il Tg4 ed il Tg3 erano agli antipodi informativi, berlusconiano il primo ed anti il secondo. Oggi che lo spartiacque del potere è tecnico, entrambi raccontano Monti con equivicinanza. Il Tg1 di Maccari è tornato ad essere più istituzionale (secondo il proprio dna), il Tg2 continua su una linea centrista, il Tg5 non è certo antimontiano ed il Tg de La7 si ritrova senza un protagonista-chiave della sua narrazione, il Cavaliere, su cui Enrico Mentana aveva impostato l'epica delle 5-6 notizie politiche ad edizione, per raccontare la decadenza (o la risalita) politica di Berlusconi, giorno per giorno. I talk show, poi, quelli calano negli ascolti e nell'attenzione così come la satira, spaesata dallo scrivere battute ad personam per quasi 18 anni. Basta guardare i numeri dell'auditel per accorgersi della crisi, ancora più grave vista la congiuntura della crisi economica, con le fasce medio-basse che hanno meno soldi per uscire a passano più tempo davanti al televisore. Prendiamo i dati di venerdì 24 febbraio 2012, interessanti perché fotografano la fuga dalla tv generalista. Se sommiamo gli ascolti della prima serata dei sette canali più importanti, Rai 1, 2 e 3, Canale 5, Italia 1, Rete 4 e La7, vediamo che lo share si ferma sotto il 75%. Ciò significa che più di un telespettatore su 4 è in uscita da questi sette canali. La 7 e Rai 3, poi, nella somma di ascolto dei loro programmi di prima serata (Le invasioni barbariche, al 4,11% con 928mila spettatori e Nanuk, al 4,02% con 1milione e 118mila spettatori) si fermano all'8,13%. Zelig, su Canale 5, programma più visto del prime time non supera il 20%. Il mezzo tv, certo, con l'avvento del digitale e l'offerta di Sky sul satellite, sta cambiando forma. Ma la crisi riguarda i contenuti: non a caso pure i giornali quotidiani rimasti al pro e contro Berlusconi, sono in difficoltà, come la tv generalista che non riesce a sperimentare. Prendiamo la satira ed i talk. Sabato 25 febbraio, il programma di Serena Dandini, in prima serata su La7, «The show must go off», ha racimolato appena il 2,69% di share con 649mila spettatori. È vero che si trattava della serata di Milan - Juventus ma il risultato è comunque basso. In Onda, con ospite l'imprenditore Alberto Bombassei, sempre su La7, si è fermato all'1,98% di share, sotto i 600 mila spettatori mentre Fabio Fazio che (tra gli altri) intervistava il segretario del Pd Bersani ha totalizzato il 10,23% con 2milioni ed 825mila spettatori. Per la satira non c'è dubbio che il calo della sua ferocia verso il potere, un peso lo giochi. Sì, perché la satira ha il dovere (oltreché il diritto) di essere feroce, chiunque governi, Prodi, Berlusconi o Monti. Mentre i talk, beh, i talk devono uscire dal secolo scorso. Se un programma come Ballarò di Giovanni Floris, martedì scorso, si è fermato al 13,66% di share con 3milioni e 761mila spettatori, significa che i protagonisti da invitare sono cambiati, si tratta di scovarli. Anche la realtà sta mutando, e va raccontata. In questo internet ed i nuovi media possono rappresentare una frontiera sperimentale. Sulla rete si azzarda di più, si muove una generazione di nativi digitali (ragazzi under 25) allattati a latte e nuove tecnologie. Un siparietto tra Pd e Pdl, con in mezzo l'Udc, a loro non fa né caldo né freddo. E la fruizione televisiva traslocata sulla rete, funziona. Michele Santoro se n'è accorto ed ha siglato (giovedì scorso) un accordo con YouTube per trasmettere la sua trasmissione, Servizio pubblico, in streaming sul canale. Risultato: la puntata del 23 febbraio figura come il quarto miglior risultato italiano di sempre su YouTube. Mica male, per essere tele-visione.

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