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Il diktat di Marchionne: stop a Cgil e art. 18

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Sergio Marchionne boccia l'articolo 18 e la Cgil. Ribadisce la sfida della competitività e promuove i primi cento giorni del governo Monti. La Fiat va sulla scia segnata dal suo amministratore delegato. Ripristina il rapporto di lavoro con i tre operai licenziati nello stabilimento di Melfi, ma non si avvarrà delle loro prestazioni in fabbrica. L'azienda l'ha comunicato ieri con un telegramma a Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli, che due giorni fa sono stati reintegrati per la seconda volta sul posto di lavoro con una sentenza della Corte d'Appello di Potenza. La casa automobilistica pagherà gli stipendi ai dipendenti, ma non permetterà loro di tornare sulle linee. Una decisione analoga a quella di agosto 2010, quando dopo l'accoglimento del ricorso per condotta antisindacale, a Lamorte, Pignatelli e Barozzino fu concessa solo la permanenza nella sala delle Rsu.   È una decisione che arriva il giorno dopo la lunga intervista di Marchionne al Corriere della Sera. Se la Fiat non riuscirà a lavorare in modo competitivo e a vincere la sfida del mercato Usa sarà costretta a chiudere altri due stabilimenti in Italia, ha detto l'amministratore delegato Fiat-Chrysler. «Tutti gli stabilimenti staranno al loro posto - ha aggiunto - Abbiamo tutto per riuscire a cogliere l'opportunità di lavorare in modo competitivo anche per gli Stati Uniti ma se non accadesse dovremmo ritirarci da 2 siti dei 5 in attività» ha precisato. Alla domanda su quali sarebbero nel caso gli impianti a rischio, Marchionne ha risposto citando «La scelta di Sophie»: «Nel film, alla fermata del treno il nazista chiede a Sophie uno dei suoi due figli. In caso contrario li avrebbe ammazzati tutti e due. Sophie resiste, ma alla fine deve scegliere e passa il resto della sua esistenza con l'incubo di quella decisione. Dunque, per favore, non me lo chieda». Le parole più nette sono sull'articolo 18: «Ce l'ha solo l'Italia. Meglio assicurare le stesse tutele ai lavoratori in uscita in modi diversi, analoghi a quelli in uso negli altri Paesi». Non rinuncia alla stoccata alla numero uno della Cgil: «Con Epifani si riusciva a ragionare di più. Camusso forse parla troppo della Fiat e di Marchionne sui media e troppo poco con noi» ha attaccato l'ad del Lingotto. Poi sulla Fiom ha ribadito: «Temo che Maurizio Landini stia facendo una battaglia politica. Vedo un Landini più rigido, molto di più del suo predecessore, Gianni Rinaldini, con cui si poteva dialogare. Ci sono stati incontri riservati con esponenti della Fiom - ha spiegato ancora il manager - La sinistra più intelligente ha provato a ricucire ma è andata male. Non posso pretendere che, nei fatti, sconfessi Cisl, Uil, Ugl e Fismic». Promosso, invece, il governo Monti che «in pochissimo tempo ha dato al mondo l'idea di un Paese che sta svoltando; un successo incredibile». Poi ha raccontato: «Ero a Washington durante la visita del premier Mario Monti. Ha avuto un'accoglienza straordinaria: Monti è stato a colloquio con il presidente Obama, ha riscosso grandissima attenzione al Peterson Institute, il think thank più importante». Del resto «l'America è un animale enorme, che tende a percepire tutti gli altri come piccoli. Non è facile che dia tanta importanza ai suoi ospiti».   Le parole di Marchionne non piacciono ai sindacati, ma critiche arrivano anche dal centrosinistra, con il leader del Pd, Pierluigi Bersani, che parla di «notizie di certo non buone». Per il responsabile Auto della Fiom, Giorgio Airaudo, il governo deve convocare subito la Fiat «se vuole fare l'interesse degli italiani e dell'Italia». Anche il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella, giudica «ancora una volta preoccupanti» le dichiarazioni dell'ad della Fiat: «La scelta di Sophie, di cui parla Marchionne, sugli stabilimenti da sacrificare, è stata già fatta e si chiama Termini Imerese. In Italia non ci sono stabilimenti da chiudere perché sono tutti il fiore all'occhiello dell'efficienza». Butta, invece, acqua sul fuoco, il numero uno della Fim, Giuseppe Farina: «Se le macchine non si venderanno è ovvio che qualche problema ci sarà, ma ci sono tutte le intenzioni di confermare gli investimenti, mantenere gli impianti e l'occupazione». L'Ugl chiede a Marchionne «di convocare i sindacati se è cambiato qualcosa», mentre per la Fismic «è la Fiom che vuole chiudere gli stabilimenti». Polverone sull'articolo 18. «Per fortuna in Italia c'è ancora» dicono dall'Idv. «Che il mercato del lavoro italiano sia più rigido di quello di altri paesi europei è una bufala colossale. Sul problema della competitività delle imprese italiane, Marchionne dice cose non vere semplicemente per tirare acqua al suo mulino» tuonano il capogruppo al Senato, Felice Belisario, e la senatrice Giuliana Carlino, capogruppo in commissione lavoro. Netto anche il responsabile economico del Pd, Stefano Fassina: «Il dottor Marchionne è poco informato. La possibilità di reintegro, anche in caso di licenziamento non discriminatorio ingiustificato, è prevista in 15 dei 27 Stati dell'Unione europea. Non solo in Bulgaria, Estonia, Lituania, Malta, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Romania, Slovenia e Ungheria ma anche in Germania, Gran Bretagna, Olanda, Austria».

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