Fare impresa è creare lavoro

Un Paese con il costo del lavoro alle stelle e le buste paga alle stalle non solo ha qualcosa che non va nel mercato del lavoro, ma ha un grosso problema con un tema che si chiama giustizia sociale. Il potere d’acquisto degli italiani dall’ingresso nell’euro ad oggi si è ridotto drasticamente: continuiamo a percepire stipendi in lire, ma consumiamo in euro. Non occorre una laurea in economia ad Harvard per comprendere la delicatezza del tema. Dieci anni di moneta unica, di regole rigide, di sindacato e Confindustria fermi sulle proprie posizioni, di contratti atipici senza garanzie reali d’occupazione, hanno prodotto un dramma sociale che stanno pagando i giovani e i lavoratori di mezza età che perdono il posto e non riescono a ricollocarsi. Quando il ministro Fornero dice che è ora di cambiare e che bisogna aumentare la produttività, noi sottoscriviamo in pieno. E non smettiamo di ripetere che l’Italia è un gigante economico, terzo d’Europa, ma un nano aziendale. Un Paese con 1600 miliardi circa di prodotto interno lordo non può più permettersi un tessuto d’imprese lillipuziano. La pressione fiscale sul lavoro e sulle imprese è troppo alta, le grandi rendite aggredite, le fughe di capitali fermate e l’evasione combattuta. Non abbiamo alternative: tutto l’Occidente è squassato da un cambiamento strutturale del capitalismo e da una ricomposizione delle forze dei Paesi che lo alimentano. Mentre il nostro dibattito è ancora fermo all’art. 18, gli americani pensano a produrre 20 milioni di posti di lavoro in dieci anni, puntando su comunicazione, smaterializzazione e delocalizzazione interna. Il nuovo posto di lavoro può essere a casa, la moderna fabbrica sarà senza operai, una nuova classe media di lavoratori sta nascendo. Basta leggere i report delle grandi firme della consulenza aziendale per rendersi conto di quali forze si siano messe in moto. Il nostro dibattito sul lavoro è di una arretratezza che spaventa. Bisogna recuperare il tempo perduto e puntare sulla capacità degli imprenditori italiani di essere fantasiosi, e sulla qualità della nostra manifattura. Bisogna sostituire alla parola lavoro quella molto più concreta che si chiama produzione. Fate impresa e ci sarà anche lavoro.