"Fallito il modello sociale Ue La flessibilità valga per tutti"
La riforma del mercato del lavoro. Passa da questo il rilancio o il declino dell'Europa. Non ha usato mezzi termini il presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, in un'intervista al Wall Street Journal per spiegare cosa blocca l'economia del Vecchio Continente. Secondo il banchiere centrale, infatti, il modello sociale europeo «è superato alla luce dell'elevata disoccupazione giovanile e i paesi europei devono varare urgentemente riforme strutturali per liberalizzare il settore dei beni e dei servizi e rendere il mercato del lavoro più flessibile ed equo». L'introduzione di regolamentazioni nuove e più leggere per il lavoro è necessaria perché cosi come è oggi si viaggia a due velocità. Un mercato molto flessibile per i giovani che hanno contratti di tre o sei mesi che possono venir rinnovati per anni e altamente inflessibile per la parte protetta della popolazione, dove i salari riflettono più l'anzianità che la produttività. Il presidente della Eurotower ha parlato però a tutto campo dell'economia della zona dell'euro dando un bilancio assai cauto sulle prospettive economiche e non chiudendo affatto la porta alla possibilità di un allentamento ulteriore della politica monetaria. Nel colloquio con il giornale l'ex governatore di Bankitalia è partito dalla Grecia e dalla sua crisi che pare infinita. «Non conosco il baseball», ha scherzato rispondendo a una metafora sportiva dei corrispondenti del Wsj. «Ma se non avessi chiuso il pacchetto di aiuti, non ci sarebbe gioco». Non è mancata però anche la considerazione di quello che aspetta l'economia europea e soprattutto i mercati finanziari. «Sono rimasto sorpreso dal fatto che non ci sia stata euforia dopo l'approvazione del piano di salvataggio per la Grecia, ciò significa probabilmente che i mercati vogliono vedere le misure applicate» ha spiegato l'ex Governatore della Banca d'Italia. Il colloquio è scivolato sul tema scottante delle dure riforme dei conti pubblici in atto in mezza Europa, Italia in primis: «Non c'erano alternative al consolidamento fiscale, e non possiamo negare che induca una contrazione economica nel breve termine». Per non averla si sarebbe dovuto optare - ha detto il banchiere centrale - per un taglio della spesa, politicamente molto più costoso. Il corollario è che per attutire la recessione e dare fiducia «la priorità» sono le liberalizzazioni, e «al secondo posto c'è la riforma del mercato del lavoro». Draghi ha poi affrontato il quadro macroeconomico dell'Eurozona: «È difficile dire che la crisi sia finita. Guardando al positivo c'è maggiore stabilità sui mercati e molti governi stanno risanando le finanze pubbliche. Ma la ripresa procede molto lentamente e resta soggetta a rischi al ribasso». Tanto che, in un'altra intervista al Frankfurter Allgemeine Zeitung, Draghi ha aperto a un taglio dei tassi («non ci sono segni di tendenze inflattive nell'area euro, piuttosto il contrario») e allontana la fine degli acquisti di titoli di Stato («dobbiamo essere molto cauti» sul tema). Sul radar della Bce, naturalmente, la priorità resta il settore bancario: con il maxi-prestito da 490 miliardi di euro di dicembre «abbiamo evitato un credit crunch ancora maggiore» - è stata la rivendicazione di Draghi - anche gli ultimi dati continuano a fornire «un quadro non positivo» del credito a famiglie e imprese. Il pensiero, mentre l'Europa si prepara a negoziare un rafforzamento delle risorse anti-crisi, corre poi al G20 dei ministri finanziari di Città del Messico che inizia oggi sul tema scottante del «firewall» del Fmi: con i cinesi «ci sono stati molti colloqui» - ammette il presidente della Bce - ma «finora non vedo alcun coinvolgimento ufficiale» contro la crisi europea.