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Nessuno si fida del "martire" Santoro

Il giornalista Michele Santoro durante

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Il paragone farà rabbrividire i cultori della materia. Ma come è possibile non scorgere nelle sembianze di Michele Santoro l'immagine moderna dell'epico Ulisse? Inviso agli dei della televisione il nostro conduttore peregrina da un canale all'altro. E quando il porto sicuro sembra accoglierlo, ecco che il fato pone sul suo cammino un imprevisto che lo costringe a ripartire. Alla continua ricerca della sua Itaca. Non solo ma Santoro, proprio come Ulisse, spesso è vittima dei suoi errori, delle sue vanità. Così una domanda nasce spontanea: non sarà che gli dei della televisione non c'entrano niente? L'interrogativo è tornato ad animare il dibattito pubblico (almeno quella parte che ancora ama occuparsi della sorte di Michele) dopo che il patron di Mediapason Sandro Parenzo, l'uomo che permette a Servizio Pubblico di andare in onda su un network di canali locali privati, ha osato mettere in discussione, come tanti prima di lui, l'intoccabilità del nostro eroe. Stasera la trasmissione che Santoro ha creato, dopo aver lasciato la Rai e aver solo sfiorato La7, ha in scaletta un'intervista ad Adriano Celentano. Il Molleggiato torna in televisione dopo le polemiche scatenate dalla sua partecipazione a Sanremo. E Parenzo osa: «Se non vedo il testo di Celentano, non lo mando in onda. Non possiamo rischiare risarcimenti milionari. Non lo manderanno in onda venti emittenti che trasmettono il programma. Santoro non vuole dirci nulla. Ci mandino il testo, oppure ci diano una fidejussione, altrimenti manderemo in onda Servizio Pubblico e, quando ci sarà Celentano, lo oscuriamo». Sembra utile offrire qualche elemento per contestualizzare lo sfogo. È altamente probabile che stasera Adriano parli di Rai. È altamente probabile che a Viale Mazzini non aspettino altro che fare causa a Santoro, soprattutto dopo che la Fiat ha vinto un risarcimento record da 7 milioni di euro per un servizio che Corrado Formigli realizzò ai tempi in cui Michele si dilettava a condurre «Annozero» su Rai2. Ergo meglio non correre rischi inutili. Ma il problema non è Parenzo, né la necessità di tutelare i propri interessi. Il problema è la «censura», parola determinante per capire l'epica santoriana. Di censura Michele patì nel 2002 dopo «l'editto bulgaro» di Silvio Berlusconi che lo costrinse a trasformarsi da conduttore di successo a eurodeputato della lista Uniti nell'Ulivo. E una sottile forma di censura è anche quella, almeno secondo lui, che lo ha costretto a lasciare la Rai lo scorso giugno. Che dire poi dello sfumato accordo con La7? «Ci sono state poste norme contrattuali che noi consideriamo lesive della libertà degli autori e dei giornalisti», tuonò Michele. «È facile chiedere libertà con i soldi degli altri», replicò l'amministratore delegato di Telecom Italia Media Giovanni Stella. Ma gli dei della televisione hanno sempre torto. Censura. E ora? Ora lo spettro ricompare all'orizzonte. Santoro, però, non sembra preoccuparsene: «Credo che noi andremo in onda e che l'intervento di Celentano sarà trasmesso regolarmente. Credo che Parenzo volesse soltanto protestare in maniera paradossale per l'abnormità della sentenza che ha condannato la Rai e Formigli, visto che i nostri accordi, per scelta di Parenzo e mia, non prevedono nessuna forma di controllo preventivo essendo noi legalmente responsabili di ciò che va in onda». In ogni caso vale la pena ricordare che Servizio Pubblico va in onda anche su Cielo (Sky) e sugli altri canali del digitale terrestre e nessuno di questi si è lamentato. Michele non sarà dunque oscurato. Anzi, ripercorrendo la carriera di Parenzo, sorge quasi il dubbio che si sia trattato di un'abile mossa di autopubblicità. Che non cambia la sostanza: ogni volta che il nostro novello Ulisse crea un programma c'è qualcuno che prova a correre i ripari. Sarà un caso?

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