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Fassina: "Ma le leggi le fa il Parlamento"

Stefano Fassina, responsabile economico del Pd

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«Credo che gli sforzi di tutti debbano andare nella direzione di un accordo innovativo e condiviso. In ogni caso mi sembra che il potere legislativo spetti al Parlamento». Il responsabile economico del Pd Stefano Fassina esprime il concetto senza tradire emozioni, ma ciò non toglie che le sue parole suonino come un avvertimento al governo che continua a ribadire che la riforma del lavoro si farà, con o senza il consenso di tutti. Significa che siete pronti a "smontare" la riforma in Aula? «Noi lavoriamo per l'accordo e ci sembra che anche Monti sia impegnato su questa strada. Dopodiché il Parlamento ha il potere legislativo. Come ha spiegato il segretario Bersani senza intesa il nostro sì non è scontato. Valuteremo nel merito e, se necessario, proporremo le nostre modifiche».  Che probabilità ci sono che si arrivi ad un accordo condiviso? «Cgil, Cisl e Uil hanno posizioni comuni sulla trattativa. Non siamo nella "fase Sacconi". Per il bene del Paese è importante che in un momento così difficile sul piano sociale e occupazionale, su un tema come questo, ci sia il consenso delle parti sociali. Dire questo non significa dare il diritto di veto a qualcuno. I sindacati hanno già mostrato grande senso di responsabilità sulle pensioni. Io credo ci siano tutte le condizioni per arrivare a una soluzione condivisa». Soluzione che, secondo il Pd, cosa dovrà contenere? «Noi abbiamo fatto le nostre proposte sulla precarietà. Abbiamo lanciato l'idea di un sussidio universale di disoccupazione». E l'articolo 18? «Si può lavorare sul piano procedurale, ma non sulla sostanza. Si tratta di una forma di tutela per tutti i lavoratori e non è vero che ostacola gli investimenti stranieri». Si può dire che la sua sia la linea del Pd? Ma, soprattutto, il Pd ha una linea sul tema del lavoro? «Le posizioni sul lavoro sono larghissimamente, anche se non unanimemente, condivise all'interno del partito. L'autorevolezza e la visibilità di personalità che la pensano diversamente non deve dare l'idea di un Pd lacerato».  Però la sua decisione di scendere in piazza con la Fiom è stata molto criticata. «Sono critiche che meritano attenzione. Per questo ho chiesto alla segreteria di decidere se è giusto o meno che io partecipi». Ma scusi, la sua linea non dovrebbe essere quella della segreteria? «La sua osservazione è giusta. Ma a me preme l'unità e non voglio alimentare polemiche che non fanno bene, soprattutto al Pd».  Non le sembra strano andare in piazza con chi contesta l'idea stessa di un accordo condiviso sul lavoro? «Se così fosse non ci andrei. La verità è che lo sciopero Fiom del 9 marzo ha come tema la democrazia. La Fiat ha completamente escluso una grande organizzazione sindacale. E un partito come il nostro non può che essere sensibile a problemi così rilevanti. In piazza ci saranno tantissimi lavoratori e lavoratrici cui, secondo me, il Pd non può non guardare».  Intanto, a causa della sua scelta, Cisl e Uil non parteciperanno ad un incontro con lei questa sera a Imola. «Mi dispiace. Cercherò di capire meglio le loro obiezioni. Mi dispiace soprattutto che i rapporti tra i sindacati siano così logorati da far ritenere un'offesa insostenibile l'attenzione verso la condizione dei lavoratori della Fiom. E comunque, lo dico per chiarezza, non è vero che il Pd è schiacciato sulla Cgil. Sull'articolo 18, ad esempio, mi sono dichiarato personalmente a favore della proposta della Cisl su cui la Cgil è nettamente contraria».  

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