Consulta: via libera al processo Ruby
Dopo un lungo duello tra accusa e difesa, la Corte costituzionale ha dato il via libera al processo, in corso a Milano, in cui l'ex premier Silvio Berlusconi è accusato di concussione e prostituzione minorile. I giudici della Consulta hanno infatti respinto il conflitto sollevato dalla Camera contro i magistrati milanesi. Montecitorio - con un intervento ad adiuvandum del Senato - sosteneva nel suo ricorso che non spettava ai magistrati milanesi chiedere e disporre il giudizio immediato per l'ex premier, poiché il reato di concussione al centro del processo sarebbe stato di competenza del tribunale dei ministri. Una tesi che non è stata condivisa dai giudici costituzionali. Le motivazioni della sentenza, come prevede il regolamento, saranno depositate entro un mese. La giornata è stata lunga e ha contropposto le parti, anche in maniera piuttosto accesa. Un conflitto fra poteri dello Stato nel quale la Camera dei deputati «non ha avuto il coraggio» di sostenere di fronte alla Corte costituzionale che il processo a Silvio Berlusconi sul caso Ruby non si doveva fare perché «quella ragazza» aveva «una parentela con l'allora presidente egiziano Mubarak», una tesi «risibile». Così Federico Sorrentino, avvocato della Procura della Repubblica di Milano, ha descritto l'oggetto della causa sulla quale ieri la Consulta ha tenuto l'udienza pubblica. Il caso ormai è noto, è quello per cui l'ex presidente del Consiglio è imputato per le sue presunte pressioni sulla Questura del capoluogo lombardo per favorire il rilascio della giovane marocchina Karima el Mahroug (detta Ruby Rubacuori) fermata per un'accusa di furto. Per la Camera è intervenuto Roberto Nania, che ha accusato i magistrati milanesi di avere una pretesa di «esclusività» nella pronuncia sull'eventuale carattere ministeriale del reato, e di aver sostenuto una posizione «radicale» che intendeva «precludere alla Corte costituzionale la possibilità di pronunciarsi sul ricorso». La Camera dei deputati ha sostenuto che l'effetto di un eventuale accoglimento delle tesi dei magistrati milanesi sarebbe stato quello di «tagliare fuori Tribunale dei ministri e Camera competente» dal procedimento, «fino al punto di non meritare neppure notizia della vicenda che riguarda un membro del governo». Fra l'altro, ha osservato l'avvocato Nania, «il tribunale dei ministri si colloca nell'ordine giudiziario e non comporta nessun trattamento preferenziale per i membri del governo». La Camera si pronunciò il 3 febbraio del 2011 con il discusso voto che attribuiva la telefonata dell'allora premier Berlusconi in Questura alla preoccupazione istituzionale per le possibili ripercussioni dell'arresto della «nipote di Mubarak», contestando alla procura di Milano la sua competenza per la richiesta di perquisizione dell'ufficio del tesoriere di fiducia di Berlusconi, Giuseppe Spinelli. «Le considerazioni della Camera - ha detto Nania ai giudici della Consulta - dovevano spingere a rimettere la questione al Tribunale dei ministri, invece la Procura ha lasciato cadere nel vuoto le osservazioni della Camera», violando «il principio di leale collaborazione». Protesta il coordinatore del Pdl Sandro Bondi: «La sentenza della Consulta conferma che il rapporto fra potere legislativo e ordine giudiziario costituisce in Italia un problema che, se non affrontato alla radice, svuota di fatto la democrazia di ogni reale potere derivante dalla volontà popolare». A. D. M.