«Ho sempre agito per il bene dell'Aquila»
Bertolaso interrogato nel processo alla Commissione grandi rischi
Poitoccherà agli altri giudicare. Guido Bertolaso non si è tirato indietro. Indagato insieme alla Commissione Grandi Rischi per aver tranquillizzato gli aquilani sul terremoto, accusato di omicidio plurimo colposo, non si è avvalso, ieri all'Aquila, della facoltà di non rispondere. Ha dato la sua versione consapevole che dopo l'amore che la città gli aveva riservato adesso c'è anche timore, a volte astio. «Non ho nulla da nascondere, per questo ho accettato di partecipare a quella trasmissione televisiva il cui contenuto si è rivelato poi determinante per il mio coinvolgimento in questo processo», così Guido Bertolaso ha commentato la sua deposizione, durata circa quattro ore e mezza. Su quanto dichiarato, sulla possibilità di aver chiarito la sua posizione, ha sottolineato che «sta ai giudici stabilirlo. Per quanto mi riguarda io ho sempre agito in maniera corretta e quindi non ho avuto difficoltà sia a intervenire a quella trasmissione, sia a deporre oggi. Sono talmente tranquillo della correttezza del mio operato che, pur sapendo che andando a quella trasmissione avrei corso il rischio di essere indagato, come è successo, ci sono andato comunque». La trasmissione a cui si riferisce è quella trasmessa da La7, dove è stata mandata in onda l'intercettazione della telefonata tra lui e l'ex assessore regionale alla Protezione civile Daniela Stati. Un colloquio in cui si parlava della riunione della commissione all'Aquila come evento mediatico, per tranquillizzare la popolazione. Nell'occhio del ciclone quella famosa riunione, il 30 marzo 2009, della Commissione Grandi Rischi. Convocata «solo per informare la popolazione in seguito alla situazione di disagio e panico che si era creata in seguito al lungo sciame sismico» ha raccontato in aula l'ex capo della Protezione civile. «Quella riunione - ha proseguito Bertolaso - non fu un'operazione mediatica nell'accezione dispregiativa del termine, ma la risposta più adeguata per dare informazioni, visti gli allarmismi anche di persone incompetenti e, addirittura, la divulgazione di notizie incontrollate fatte anche con auto che giravano con gli altoparlanti per le zone interessate dalle scosse». Il rapporto tra L'Aquila e Bertolaso si è forse incrinato, ma non si è rotto. Una città silenziosa ancora lo stima, davanti agli occhi ha la sua capacità operativa messa in atto già poche ore dopo il tragico terremoto, quando dalle macerie si tiravano fuori corpi senza vita, quando si esultava per aver salvato una persona, vecchia o giovane che fosse. «Ancora oggi penso alle vittime del terremoto», ha detto durante il lungo interrogatorio. Bertolaso ha risposto con questa frase a una domanda dell'avvocato di una delle parti civili, Fabio Alessandroni, ricordando quando, a cinque mesi dal sisma Bertolaso rimandava al 31 dicembre dello stesso anno, quando cioè avrebbe lasciato l'incarico di Commissario per l'emergenza, la risposta alla domanda se si poteva agire prima. «Ho dato quella data - ha continuato Bertolaso - perché oltre a lasciare L'Aquila sarei andato in pensione come avevo richiesto e quindi mi sarei sentito più libero di valutare e fare considerazioni non essendo più un dirigente dello Stato. Noi in questo Paese abbiamo una enorme responsabilità soprattutto sui terremoti, ad esempio nell'attività di prevenzione e messa in sicurezza degli edifici che si sapevano fossero vulnerabili». Bertolaso ha tenuto a ribadire, però, che nei confronti degli aquilani «c'è sempre grande amore». Rimangono gli oltre 300 morti, in sospeso i tanti dubbi sulla solidità di alcuni edifici. Ma sulla prevedibilità di un terremoto Bertolaso ha ribadito la mancanza di una scienza precisa. Sull'attività della Protezione civile prima del 6 aprile del 2009, Bertolaso ha spiegato che «la competenza era delle strutture regionali del Dipartimento. Mica si potevano fare evacuare Sulmona, dove uno sconsiderato aveva procurato un falso allarme, L'Aquila e Rieti». Domande sono state poste anche in relazione a una lettera a firma di Bertolaso con la quale lo stesso augurava alla famiglia di uno studente universitario, morto nel crollo della palazzina dove alloggiava, l'identificazione dei responsabili, lo stesso ha chiarito che il riferimento era «ai governi e ai funzionari che nel corso degli ultimi decenni avrebbero dovuto portare avanti il discorso sulla prevenzione sismica e non lo hanno fatto. Cose che più volte ho denunciato anche per iscritto, invocando un serio programma di prevenzione». Un vuoto sulla prevenzione tra la tragedia molisana di San Giuliano di Puglia e L'Aquila.