Che la Rai ce lo conservi
Viva Adriano, che la televisione ce lo conservi. Sì, perché Celentano, martedì sera al Teatro Ariston di Sanremo, è apparso alla Madonna: un'apparizione vista da un telespettatore su due, oltre 14 milioni di persone, stando ai dati di ascolto del Festival presi nella loro medietà. Oggi, che la Rai ha spedito in Liguria il vicedirettore generale Antonio Marano, ex deputato della Lega Nord (ed ex sottosegretario alle Poste), per coordinare con potere di intervento il lavoro del Festival, oggi che il presidente della tv pubblica, Paolo Garimberti, si dissocia dalle parole di Celentano (ma quando mai si era associato?), Adriano diventa più che mai indispensabile. Non vediamo l'ora di rivederlo sul palco, sabato, o magari anche stasera (a sorpresa!), a briglia sciolta. A monologare. Troppo facile annotare che è bravo soltanto quando canta (una ovvietà, come dire che Maradona gioca bene a pallone), imputandogli però di parlare troppo. In fondo il Molleggiato ha fatto propria un'indicazione del nostro premier Mario Monti: "Il buonismo" (dei Governi passati secondo il Presidente del Consiglio) ha ridotto male l'Italia. Ed allora via, leviamoceli questi sassolini dalle scarpe, senza guardare al loro peso e parlando con schiettezza. Celentano lo ha fatto. Senza infingimenti. Ha attaccato Avvenire e Famiglia Cristiana, Aldo Grasso (Corriere della Sera), il re dei critici televisivi, ha detto la sua sulla vita e sulla morte. Ha giocato sul lessico, sul quel "sovrano" riferito al popolo che oggi, nei tempi delle finanza e dello spread, non è più sovrano di niente. Sminuire il suo intervento dicendo che è il re degli ignoranti, scrivendo che ha parlato troppo, sottolineando che lo ha fatto sulla tv pubblica, vuol dire non aver capito molto. Adriano Celentano è …. Adriano Celentano. Non possiamo chiedergli di essere altro da sé, di farsi diverso da ciò che pensa, canta, 'mosseggia', insomma da quel che fa da oltre mezzo secolo. Anche nel torto deve restare lui. In quella sua ora scarsa di show sul palco dell'Ariston è andato infatti in scena lo scandalo di essere se stessi. Senza mediazioni. Senza la vaselina di un linguaggio educato, senza la compiacenza di un colpo al cerchio ed uno alla botte, senza il visto di una giuria o di una vigilanza, senza l'usanza antica di mordersi la lingua prima di parlare. In una parola, libertà; senza l'obbligo del contraddittorio da par condicio, senza il nullaosta di Tizio, senza l'equilibrio del non importunare nessuno. La libertà è fastidiosa, maleducata, a volte insultante. Prendiamola così - anche con i suoi eccessi - e se veste i panni di Adriano Celentano, elogiamola. Chi deve rispondere gli risponda da par suo, ci mancherebbe. Ma il dagli unanime al Celentano, questo no. In un paese come il nostro dove la gente non sopporta più la politica, dove la fiducia nei partiti è ai minimi storici, dove la cultura ristagna, bersagliarlo è infatti la forma più facile di unanimismo. Un unanimismo inutile, visto che non accresce la conoscenza. I cori, se suonano come una voce sola, rischiano di apparire stonati. Evitiamoli, perché non di cori ma di scandali (nel senso letterale di inciampi, di ostacoli) ha bisogno l'unanimismo. Per tirarci fuori dalla noia e dalla banalità. Adriano Celentano è apparso alla Madonna, abbiamo scritto all'inizio. E lo abbiamo fatto non a caso, dato che "sono apparso alla Madonna" era il titolo di una indimenticata autobiografia dell'attore-autore Carmelo Bene, di cui cadono nel 2012 i dieci anni dalla morte. Un uomo e un intellettuale "scandaloso". In una sua poesia, contenuta in un libro di 4 decenni fa (pubblicato da Feltrinelli), "L'orecchio mancante", scriveva: "Son'io quel desso che non vi spiegate / ancora ieri, poi stanotte o mai / sono quel tu generico / (…) / Ed ecco fatto quello che non faccio / ed ecco detto quello che dicevo / ecco premiato quello che volevo / esatto a dirmi che non esatto". Viva Adriano, che la Rai (senza stare a scomodare Dio) ce lo conservi.