Liberalizzazioni, verso il vertice con i partiti
L'assalto alla diligenza delle liberalizzazioni rischia di mettere a dura prova il piano del governo ma i partiti di maggioranza cercano di correre ai ripari. Il premier lo sa e conta di tirare dritto: «non sono affatto preoccupato» dice commentando la valanga di emendamenti piovuti sul suo piano di apertura dei mercati in discussione al Senato. Anche perché, se il Parlamento non verrà a più miti consiglio, è pronto a calare la scure della fiducia. Così, dopo aver presentato 2.400 emendamenti con una mano, con l'altra le forze politiche cercano ora di andare incontro al governo e annunciano l'intenzione di ridurre drasticamente le proposte di correzione presentate al Senato. Dal Pd al Pdl, passando per il Terzo Polo tutti assicurano che l'obiettivo resta quello di migliorare il testo proposto dal governo e che, quindi, saranno disposti a fare un passo indietro. «Noi saremo in prima linea per portare a casa, dopo anni di stallo, delle vere liberalizzazioni» assicura il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani secondo il quale i democratici sono «gli unici che si stanno muovendo per rafforzare ed accelerare quello che ha fatto governo Monti». Il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini, si dice addirittura pronto a ritirare anche tutti gli emendamenti presentati dai senatori centristi. «I partiti non devono essere i taxi con cui le corporazioni frenano il processo di liberalizzazione» spiega il leader centrista mentre anche il Pdl assicura che nessuno vuole «il muro contro muro» e che, quindi, il numero esagerato di emendamenti «non deve impressionare», essendo molte delle proposte meri doppioni, facilmente eliminabili. Il Pd annuncia che ridurrà il numero di modifiche proposte dalle attuali 620 ad un centinaio circa. Una scrematura che si concentrerà sugli emendamenti proposti dal gruppo. Quelli, spiega la capogruppo Anna Finocchiaro, in cui figura «il contributo che il Pd vuole dare al Governo per rendere più incisivo il decreto CrescItalia». Ma il dato delle pressioni resta e di fronte all'irragionevole proliferazione di richieste di correzione la strada della fiducia appare scontata. Il problema, semmai, sarà come arrivarci. Monti non esclude di chiamare a raccolta un vertice politico per definire qualche limitata ma concordata limatura al decreto. E una riunione con Alfano, Bersani e Casini era stata messa in conto già in occasione del varo del decreto come possibile chiave per sbloccare un iter che il governo sapeva essere accidentato. Per Maurizio Gasparri, tuttavia, «un approfondito esame parlamentare, essenziale prima di qualsiasi vertice o decisione, potrà concentrarsi su un numero limitato di qualificate questioni». Insomma è possibile che prima di arrivare alla mediazione politica a palazzo Chigi ci possa essere un tentativo di accordo in Parlamento. E che queste intese possano scongiurare il ricorso alla fiducia, su cui c'è la contrarietà dell'Idv. «L'unica alternativa alla fiducia, a questo punto è che le forze che sostengono il Governo garantiscano l'approvazione rapida del testo del Governo con pochissimi correttivi concordati con l'Esecutivo stesso. Per il resto, cioè per ulteriori interventi, meglio pensare ad una seconda puntata nei prossimi mesi» suggerisce il finiano Benedetto Della Vedova. Intanto, però, scende in campo il Cnl, quello che scherzosamente il webmagazine il Futurista chiama il Comitato di Liberalizzazione Nazionale: «una rete che, grazie alle sue 'cellulè disseminate in Parlamento, denuncerà ogni azione di lobbying e di difesa di interessi particolari...».