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Non riaprite la terza Camera

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Se un medico sbaglia, paga. Se un ingegnere dà i numeri e provoca il crollo di un palazzo, viene processato. Se un direttore di giornale pubblica una notizia diffamante, viene chiamato in giudizio insieme all'autore dell'articolo. Tutte le professioni fanno i conti con un sistema di norme che regolano la responsabilità e il risarcimento dell'eventuale danno arrecato. Tutti, tranne i magistrati. Nonostante un paio di sentenze affermino che le toghe italiane sono iperprotette rispetto agli standard del Vecchio Continente, la magistratura associata non accetta una riforma sacrosanta e in Parlamento assistiamo a un dibattito tra i partiti che ha le ragnatele.   Il governo ha fatto bene ad aprire un dialogo con l'Anm e l'Avvocatura, ma deve essere equilibrato e non commettere l'errore di arrendersi di fronte al diktat dei giudici. Se cede, allora si apre un problema di credibilità dell'esecutivo di fronte a uno dei poteri che negli ultimi vent'anni ha fatto (e soprattutto disfatto) politica in tutti i sensi. Le aule dei tribunali e il Consiglio superiore della magistratura hanno funzionato contro ogni regola costituzionale da «terza Camera» e le leggi sono state di volta in volta modificate o addirittura buttate nel cestino. Qualsiasi tentativo di riforma dell'ordinamento giudiziario è stato stravolto. Il problema ha riguardato tutti i governi che si sono succeduti nell'ultimo ventennio. Non possiamo avere una «pax parlamentare» e poi lasciare che il settore della Giustizia sia uno Stato nello Stato, un protettorato che gode dell'extraterritorialità, applica la legge interpretandola come meglio crede, ma non accetta di esservi sottoposto. È una forzatura fuori dal tempo e dalla storia. È la cronaca a richiamare un intervento legislativo urgente. L'ultima di ieri: un broker di 32 anni condannato in primo grado a 26 anni per l'infanticidio del figlio della compagna di 8 mesi. Ieri è stato assolto in appello dalla Corte d'Assise di Genova per «non aver commesso il fatto». Giovanni Antonio Rasero era in carcere da un anno. E la Procura Generale aveva chiesto l'ergastolo. È un caso come tanti, lontano dal Palazzo e proprio per questo esemplare. Non bisogna pensare né alla casta politica né a quella togata, ma semplicemente ai cittadini e al buon nome della Giustizia.

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