La nefasta impresa della Cancelliera Merkel
Il vertice europeo del 30 gennaio ha, nella quasi generale soddisfazione, adottato decisioni che sono contraddittorie e molto pericolose. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha ottenuto ciò che voleva: una nuova disciplina del bilancio degli Stati della zona dell'euro, con l'obiettivo di rassicurare i tedeschi timorosi di dover sopportare il costo delle leggerezze altrui, e un potenziamento del fondo «salva Stati». Mi riesce impossibile condividere l'entusiasmo della cancelliera che ha parlato di «grande impresa» per l'accordo raggiunto. Sono convinto che quanto è stato deciso ieri sia da considerare nefasto. Anzitutto, infatti, il potenziamento del fondo salva Stati cos'è se non una sorta di assicurazione offerta agli Stati gratuitamente per l'eventualità che non rispettino la disciplina fiscale loro imposta? La legge della domanda e dell'offerta ha valore generale: se esiste una domanda di disavanzi pubblici (il fondo, appunto), ci sarà un'offerta di leggerezze finanziarie. Da un lato si vuole rigore nella gestione del pubblico bilancio, dall'altro si garantisce che eventuali violazioni di quel rigore saranno premiate con risorse fornite dal fondo! In secondo luogo, ma più importante, il tentativo di eliminare i deficit di bilancio degli Stati ai livelli di spesa pubblica attuali condanna l'intera Europa a una grave recessione, le cui dimensioni, temo, saranno ben maggiori di quanto già previsto. Il principio del pareggio del bilancio su base annua è fondamentale principio di trasparenza nella gestione della cosa pubblica quando le spese del settore pubblico sono contenute. Diventa, invece, garanzia di recessione quando, come oggi in Italia, la spesa pubblica supera il 52% del reddito nazionale. Per pareggiare il bilancio sarebbe necessaria una pressione fiscale del 52% e il contribuente medio dovrebbe sopportare un'aliquota del 52%. Se il prelievo medio è a quel livello, dato che esistono anche contribuenti poveri, quelli che hanno un reddito superiore alla media dovranno versare al fisco ben più della metà di quanto producono. L'aliquota media gravante sulle imprese supererebbe agevolmente il 70-80%. A questi livelli di spesa il pareggio del bilancio è assolutamente irrilevante: sia che lo Stato si finanzi interamente col prelievo fiscale sia che lo faccia anche con l'indebitamento, al settore privato resta comunque meno della metà di quanto si produce. Lo sviluppo diventa matematicamente impossibile: se deve consegnare più di metà del suo reddito, è assai dubbio che il contribuente possa darsi alla pazza gioia, accrescendo i consumi, o che possa stringere la cinghia risparmiando quanto necessario a una crescita degli investimenti. Stiamo senza esitazione condannando il vecchio continente e forse l'intero pianeta a una crisi grave ed evitabile. L'Italia ha bisogno urgente di riforme, che portino alla trasformazione dell'attuale, insostenibile sistema di trasferimenti. Il servizio sanitario nazionale dovrebbe smettere di essere universale, prendendo a tutti per dare (non sempre) a tutti, e diventare selettivo, prelevando dagli abbienti per dare agli indigenti. Costerebbe molto meno, sarebbe meno esposto alla corruzione e non sarebbe più regressivo; oggi grava di tributi anche i meno abbienti per fornire servizi gratuiti anche ai ricchi, la sua inefficienza è testimoniata dalla frequenza di episodi di malasanità, la sua corruzione è ampiamente documentata e il suo costo è astronomico. La governance locale non è sostenibile: i quattro quinti degli oltre ottomila comuni sono del tutto superflui, la maggior parte delle province non ha ragion d'essere e le regioni sono troppo grandi o troppo piccole per essere un efficiente ente locale. Quanto ai parchi nazionali ne basterebbe un numero drasticamente minore, lo stesso vale per le comunità montane, le autorità indipendenti e così via. Queste riforme consentirebbero di ridurre la spesa pubblica a un livello inferiore al quaranta per cento del reddito nazionale e potrebbero con grande tranquillità essere accompagnate da una radicale riforma fiscale che porti le aliquote medie delle imposte dirette a livelli non superiori al venti per cento. Allora e soltanto allora lo sviluppo economico tornerebbe a essere possibile, allora potremmo tornare alla regola del pareggio del bilancio su base annua e liberare l'Italia dalle odiose disposizioni orwelliane che hanno fatto strame della riservatezza e della libertà delle persone. Ma queste semplici considerazioni vengono del tutto ignorate dalla signora Merkel e da quanti anelano al suo apprezzamento, come i tecnici italiani più tedeschi dei tedeschi.