Lusi: patteggio un anno e restituisco 5 milioni La procura: troppo poco
Un anno di reclusione. No, due anni di carcere. È questo per ora il braccio di ferro tra l'ex tesoriere della Margherita Luigi Lusi e la procura di Roma. Si tratta della pena che dovrà essere inflitta all'indagato per appropriazione indebita per aver sottratto dalle casse del partito confluito nel Pd 13 milioni di euro. Lusi, attraverso il suo legale, l'avvocato Luca Petrucci, ha infatti chiesto come pena, scegliendo il patteggiamento, dodici mesi di carcere. Il procuratore aggiunto Alberto Caperna e il pubblico ministero Stefano Pesci hanno invece spiegato che la pena prevede fino a tre anni di reclusione: quindi il senatore del Partito democratico potrebbe «cavarsela» con una condanna vicina ai due anni con la sospensione condizionale. Ma non finisce qui la battaglia giudiziaria che sta affrontando l'ex tesoriere Lusi. Contestualmente alla proposta di pena da patteggiare, il senatore Pd ha anche depositato agli inquirenti una bozza di fideiussione bancaria a garanzia della restituzione alla Margherita di cinque milioni di euro. L'indagato, infatti, non sarebbe in grado di restituire tutta la somma sottratta da gennaio 2008 all'estate del 2011. Questo poiché Lusi ha versato cinque milioni di euro al Fisco per le tasse da pagare per le operazioni finanziarie messe in atto per mettersi in tasca il denaro del partito. E con gli altri soldi ha acquistato una villa del '600 a Genzano, dove abita e dove ha creato il suo studio legale, oltre a un appartamento nel cuore della Capitale, in via Monserrato 24, pagato 1,9 milioni di euro. Lo stesso Lusi, comunque, avrebbe dichiarato di avere intenzione di vendere le abitazioni, sulle quali, però, peserebbe un mutuo. Durante le indagini, l'ex tesoriere avrebbe spiegato inizialmente ai magistrati che quei soldi corrispondevano alle sue consulenze. Poi la versione sarebbe stata modificata, anche in seguito a un colloquio che Lusi avrebbe avuto con il suo difensore. Quando si è seduto di nuovo davanti ai magistrati avrebbe infatti ammesso le sue responsabilità, ricostruendo anche il passaggio di denaro dalle casse della Margherita ad alcune società canadesi e alla società «Luigia ltd» e a uno studio di architettura che porta il nome della moglie. La parola fine sulla fideiussione, comunque, non è stata ancora messa. Questo perché è in corso ancora una trattativa tra i vertici della Margherita e il legale dell'indagato. Una volta che il partito confluito nel Pd avrà accettato le garanzie del senatore Pd, la procura chiuderà l'inchiesta. E intanto il Pd ha voluto precisare di essere «completamente distinto dalla Margherita, non aveva alcun modo di controllare i bilanci del partito che era guidato da Francesco Rutelli», ha detto il tesoriere democratico Antonio Misiani. E ancora: «Il Pd e la Margherita sono soggetti del tutto distinti, politicamente, giuridicamente ed economicamente. Il Pd, perciò, non aveva e non ha alcun titolo per determinare indirizzi e fare controlli sul bilancio della Margherita, il cui presidente (Francesco Rutelli) è peraltro il leader di un'altra formazione politica». Misiani ha poi aggiunto che «il bilancio nazionale del Pd, sin dalla nascita nel 2007, è controllato fino all'ultima fattura da una società di revisione indipendente (PriceWaterhouse Coopers, gli stessi che certificano il bilancio della Banca d'Italia). Siamo gli unici a farlo, sulla base di una precisa scelta politica di trasparenza. Tutto questo, naturalmente, non toglie in alcun modo dal campo i riflessi politici della vicenda». Conclude il tesoriere: «Il punto di fondo è la necessità di una profonda riforma del sistema dei partiti, in attuazione dell'articolo 49 della Costituzione. Il Pd da tempo propone che i rendiconti siano sottoposti obbligatoriamente alla certificazione di organismi esterni, siano essi società di revisione o un'autorità indipendente o un'apposita sezione della Corte dei conti. Chi sgarra, perde il diritto ai rimborsi elettorali. La trasparenza non è uno slogan, su internet abbiamo messo i conti del Pd».