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Dopo il giallo appalti il Papa vuole chiarezza

Dirigibiel Goodyear nei cieli di Roma: una veduta aerea di San Pietro (foto Gmt)

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«Nonostante la grave lesione alla mia fama e gli echi negativi che questo provvedimento provvederà, la mia risposta non può che essere di piena adesione alla volontà del Papa, come sempre ho fatto durante il mio ormai non breve servizio alla Santa Sede. Anche di fronte a questa dura prova rinnovo con profonda fede la mia obbedienza assoluta al Vicario di Cristo». Sono le parole contenute in una delle lettere di monsignor Carlo Maria Viganò, pubblicata sul sito di Sandro Magister. Dalla messa in onda de «Gli intoccabili», altre due lettere di Viganò, segretario del governatorato di Città del Vaticano fino allo scorso anno, sono venute alla luce. In questa, datata 7 luglio del 2011, Viganò sa che ormai la decisione è già stata presa. Ma, seppur con amarezza, si rimette all'autorità morale della Santa Sede. Che poi si incardina in Benedetto XVI. Cosa c'è dietro l'affaire Viganò? Se lo chiedono in molti, nei corridoi vaticani. Delle lettere del prelato si sapeva. Addirittura, Viganò - in ciò che scrive al Papa - fa riferimento a quanto scritto sul blog del giornalista Andrea Tornielli. Il quale riportava di «voci vicino al Papa» che parlavano del «clima negativo che respira nel governatorato e nei rapporti tra i direttori laici degli uffici e la segreteria generale». Il problema è piuttosto chi ha voluto che queste lettere fossero pubblicate e perché. Addirittura si è palesata l'idea della contraffazione, lanciata su twitter da Sandro Barbagallo, storico dell'arte, che si è occupato di arte vaticana. E che lanciava dal suo profilo twitter l'accusa: «la lettera (mostrata agli Intoccabili, ndr) è un FALSO per la Forma, Carattere usato e Contenuto, che corrisponde all'autentica solo al 50%!». Alcune risposte si trovano in un'altra lettera pubblicata ieri sul «Fatto Quotidiano», indirizzata al cardinal Bertone, e datata 8 maggio 2011. In questa lettera, Viganò denuncia contraffazioni di fatture e ammanchi, furti nelle ville pontificie tenuti coperti, interessi di un prelato in una società che fa affari con il Vaticano e con esso inadempiente per 2,2 milioni di euro. E poi fa i nomi di chi secondo lui avrebbe ispirato gli articoli anonimi comparsi su «Il Giornale», che sarebbero veline inviate da monsignor Paolo Nicolini, direttore amministrativo dei Musei Vaticani, il quale - dice Viganò - è autore di «comportamenti gravemente riprovevoli per quanto si riferisce alla correttezza della sua amministrazione», fin da quando era all'Università Lateranense, dove «a testimonianza» dell'allora rettore monsignor Rino Fisichella furono riscontrate «contraffazioni di fatture e un ammanco di 70 mila euro». E poi Viganò punta il dito contro la denigrazione ai suoi danni portata avanti in particolare da Marco Simeon, capo delle relazioni estere della Rai e di Rai Vaticano, definito «dalla stampa» molto vicino al cardinal Bertone. È in queste denunce, continue e circostanziate, che si deve vedere la causa dell'allontanamento di Carlo Maria Viganò, una promozione alla prestigiosa nunziatura di Washington che va configurata nei casi del promoveatur ut amoveatur? Per alcuni, è così. Ma si promuove anche per preservare, non solo per punire. Poteva, Viganò, rimanere in Governatorato dopo tutto ciò che aveva denunciato? E qui si inserisce un'altra situazione tipicamente vaticana, quella di un mondo piccolo in cui tutti conoscono tutti, e in cui le tensioni personali sono all'ordine del giorno. Raccontano che Viganò abbia cominciato a riscontrare antipatie quando aveva chiesto ai funzionari della Segreteria di Stato, da capo del personale, di timbrare i cartellini. A livelli più alti, si registra la difesa, da parte di Viganò e del governatorato, dell'autonomia della Santa Sede, mentre ci si sedeva al tavolo delle trattative per delineare la Convenzione Monetaria con l'Ue. Convenzione dalla quale sono scaturite altre decisioni vaticane, come l'Autorità di Informazione Finanziaria, che controlla tutte le finanze vaticane. In un momento drammatico delle trattative, Viganò propose addirittura di sganciare la Santa Sede dalla zona euro. Le lettere di Viganò pubblicate sui giornali non testimoniano solo un comportamento virtuoso del prelato. Testimoniano anche una situazione curiale in cui c'è da mettere ordine, e non solo dal punto di vista finanziario. È il lavoro che sta portando avanti Benedetto XVI, coadiuvato da Tarcisio Bertone. Il quale oggi incontrerà i capi dicastero, mettendo sul piatto i problemi che ci sono nell'elaborazione e pubblicazione dei documenti della Santa Sede. Bertone chiederà in sostanza più collaborazione e confronto, sull'esempio di quello che faceva Joseph Ratzinger quando era a capo della Congregazione della Dottrina della Fede. È il segnale che che molto si sta muovendo. E che i provvedimenti non sempre vengono sottoposti all'attenzione dei media, ma restano all'interno del Vaticano. «Che è una entità sovrana, non una Spa», continuano a ripetere da dentro le mura, in quel territorio del governatorato che è per la Chiesa – come diceva Pio XII – «quel tanto di stato che ci permette di compiere la nostra missione».

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