«Uguale al nostro Ma a noi il Colle rifiutò il decreto»
ÈRoberto Calderoli ad attaccare il Colle, spiegando di essere «amareggiato» dal fatto che Giorgio Napolitano abbia accolto il decreto sulle semplificazioni che contiene le «stesse norme che ieri non potevano essere urgenti e necessarie». In pratica il decreto sarebbe molto simile a quello che voleva varare il governo Berlusconi e sul quale invece il Quirinale si mostrò contrario. Per Calderoli si tratta di «due pesi e due misure» su «norme che oggi sono da decreto perché sono firmate da Monti e non da Berlusconi. In questo modo vacilla la stima che avevo per Napolitano». «Buona parte dei contenuti del decreto legge sulle semplificazioni – osserva il senatore leghista – sono gli stessi, o quanto meno una loro variante, del decreto legge per la crescita predisposto dal sottoscritto, da Roberto Castelli, Paolo Romani, Renato Brunetta ecc, che mai ha visto la luce a causa dell'indisponibilità del presidente Giorgio Napolitano a firmarlo». «Un decreto che, probabilmente, - sostiene l'ex ministro del Carroccio - avrebbe consentito la ripresa del Paese e impedito gli attacchi speculativi e l'impennata dello spread». «Il Consiglio dei ministri che lo stava esaminando - prosegue Calderoli - informato che il decreto avrebbe dovuto essere trasformato in emendamento alla legge di stabilità, perdendo così per strada la maggior parte dei contenuti, fu sospeso dal presidente Silvio Berlusconi, proprio per un ulteriore estremo tentativo di convincere il Colle che invece si dichiarò irremovibile all'ipotesi della decretazione d'urgenza». «Adesso scopriamo che quelle norme rifiutate ieri dal Colle, perché prive dei requisiti di necessità e di urgenza - sottolinea Calderoli - sono diventate oggi necessarie e urgenti semplicemente perché la firma sul decreto legge è quella di Mario Monti e non più di Silvio Berlusconi. Due pesi e due misure, caro presidente Napolitano». «Rilevo poi che, curiosamente, nel decreto mancano le parti più rilevanti per la crescita – conclude l'esponente leghista – ovvero le parti che erano più invise ai poteri forti e d'altra parte non potrebbe che essere così in un regime di fascismo bianco, dove i media celebrano l'abrogazione di 300 leggi e dimenticano le 425.000 norme bruciate nel 2010 dal sottoscritto». Una denuncia che trova l'appoggio anche di Renato Brunetta, anche lui artefice di quel decreto che, secondo il centrodestra, Napolitano non volle accettare. «Ha ragione Calderoli – commenta l'ex ministro della pubblica amministrazione – noi fummo impossibilitati a fare un maxiemendamento per decreto, che avrebbe contenuto gran parte delle misure poi varate da Monti, perché ci furono le perplessità del Colle. Questo è un dato oggettivo posso testimoniarlo». «Monti - osserva ancora Brunetta - lavora unicamente per decreto. E anche su questo avevamo ragione noi: se si vuole avere un impatto immediato sul Paese, sull'economia e sui mercati occorre lavorare per decreto. Lo dicevamo noi, adesso Monti lo fa». Usano invece l'arma dell'ironia i due esponenti del Pdl Ignazio La Russa e Maurizio Gasparri, attraverso il quotidiano online «Destra.it». «Ma davvero possiamo pensare che facendo coincidere la data di scadenza della carta d'identità con la data di nascita, si sollecita il Pil, si rimette in moto la crescita, si guadagna in competitività?», si domanda con una punta di ironia l'editoriale, a firma di Giuliano Spada ma che esprimerebbe la posizione della corrente del Pdl. «Siamo nel regime del politicamente corretto e a leggere i giornali, sembra che stiamo tutti naso all'insù e bocca spalancata. Monti ha affermato che il primo pacchetto di provvedimenti valeva 12 punti di Pil in più. Ora quanto ci daranno le nuove misure, magari altri 10 punti? E siamo a 20. Questa è l'apoteosi della barzelletta».