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Il Vaticano non è una Spa qualunque

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Monsignor Carlo Maria Viganò

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La nota di padre Lombardi. L'annuncio di un ulteriore passo della Santa Sede per l'ingresso nella white list degli Stati virtuosi (convenzioni Onu contro droga, terrorismo e crimine organizzato transnazionale). È il calendario degli impegni liturgici del Pontefice, il primo ad arrivare. Il giorno dopo l'inchiesta degli Intoccabilii sulla «corruzione» vaticana, non fosse per la nota di padre Lombardi, sarebbe un tranquillo giovedì vaticano. Benedetto XVI, il primo a denunciare già da cardinale le sporcizie nella Chiesa, continua nella sua operazione. Che è semplice e complessa a un tempo: riportare la Chiesa a Dio, perché venga purificata. Non c'è sorpresa, anche perché tutto era noto in ambienti vaticani e dintorni, e la storia non servirà certo a fermare l'operazione del Papa. Delle quattro lettere inviate da monsignor Carlo Maria Viganò a Benedetto XVI si sapeva da tempo. Ne era comparso un resoconto anche sul blog di Marco Tosatti, vaticanista della Stampa, nel momento in cui alla fine Carlo Maria Viganò era partito come nunzio a Washington, lasciando l'incarico di segretario del Governatorato di Città del Vaticano. Un incarico nel quale sarebbe voluto restare. La sua sostituzione avvenne velocemente, e il nuovo segretario, Giuseppe Sciacca, prese quasi immediatamente il nuovo incarico. Il card. Lajolo, governatore, resterà in carica invece per qualche altro tempo. «Beatissimo padre - scrive Viganò in una lettera del 27 marzo 2011 - un mio trasferimento e scoramento in questo momento provocherebbe smarrimento in quanti hanno creduto fosse possibile risanare tante situazioni di corruzione e prevaricazione da tempo radicale nella gestione delle diverse direzioni». È l'inizio di un lungo tira e molla. Un tira e molla che coinvolgerà il cardinal Bertone, segretario di Stato. Al quale arriveranno delle lettera anonime con delle velate minacce, che alcuni nella Santa Sede attribuiranno proprio alla questione Viganò. Viganò fa nomi e cognomi, denuncia la situazione finanziaria del Vaticano «già gravemente indebitata per la crisi mondiale», con perdite di oltre il 50%, «anche per imperizia di chi l'aveva amministrata». Punta il dito contro i «banchieri», che fanno parte di un «comitato finanza e gestione»: Pellegrino Capaldo, Carlo Fratta Pasini, Ettore Gotti Tedeschi e Massimo Ponzellini. Sarebbero stati loro a far perdere alla Santa Sede «2 milioni e mezzo di dollari» in una sola operazione. Sottolinea il fatto che in Vaticano lavorano sempre gli stessi fornitori, a costi doppi rispetto all'esterno. Denuncia il costo spropositato del Presepe di piazza San Pietro 2009, 550 mila euro. La gestione di Viganò è riconosciuta come meritoria. Taglia i costi. In sede internazionale, mentre si delineano le trattative tra Ue e Santa Sede per la Convenzione Monetaria con l'Europa, difende l'autonomia vaticana. Su questa autonomia si dovrebbe precisare. Lo Stato della Città del Vaticano non è la Santa Sede, ed ha una sovranità limitata: esiste per dare sovranità e indipendenza alla Santa Sede, presso cui sono accreditate le ambasciate estere. Ma nel suo territorio esercita la propria sovranità. «Non si può - dice un insider della Santa Sede - porne al vaglio bilanci e appalti come se fosse una qualunque S.p.A.» Considerando poi che il crollo del bilancio 2009 - che si riferisce al 2008 - era dovuto alla situazione finanziaria internazionale. C'era stato Lehmann Brothers. Molto, in Vaticano fu investito in dollari.

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