Martone boccia gli "sfigati"
Nel 1995 Leonardo Pieraccioni ci ha costruito il suo primo film da regista (I Laureati) e buona parte del successo che poi sarebbe arrivato. Quattro trentenni, ognuno con i suoi sogni e le sue paure, ancora alle prese con esami e lezioni universitarie. In una parola «fuoricorso». Il concetto e il termine si sono evoluti nel corso di questi 17 anni. Ai tempi dell'ultimo governo guidato da Romano Prodi l'allora ministro dell'Economia Tommaso Padoa Schioppa li definì «bamboccioni». Aggiungendo all'identikit dello studente trentenne senza arte né parte, il fatto di vivere ancora a casa con i genitori. Le polemiche non mancarono. Ma furono decisamente inferiori di quelle che, ieri, hanno accolto l'ultima versione: lo «sfigato». A lanciarla il viceministro al Welfare Michel Martone. Cioè colui che, con la pubblicazione del decreto nella Gazzetta Ufficiale del 10 gennaio, ha formalmente la delega alle «iniziative di competenza del ministero in materia di occupazione giovanile nonché i rapporti di collaborazione interministeriali nel settore delle politiche giovanili». Esordio migliore non poteva esserci. Martone, che a 37 anni è professore ordinario di Diritto del lavoro presso l'università di Teramo, ha lanciato il sasso durante un convegno organizzato dalla Regione Lazio: «Dobbiamo iniziare a far passare messaggi culturali nuovi. Dobbiamo dire ai nostri giovani che se non sei ancora laureato a 28 anni, sei uno sfigato». Il concetto, di certo, poteva essere espresso meglio. Lo stesso Martone, sommerso dalle polemiche, si affretta a chiarire sul proprio blog: «Non mi riferivo a chi per necessità, per problemi di famiglia o di salute o perché devono lavorare per pagarsi gli studi, sono costretti a laurearsi fuori corso. Mi rivolgo piuttosto a tutti quegli studenti che, pur vivendo a casa con i genitori e non avendo avuto particolari problemi, si laureano "comodamente" dopo i 28 anni. Dieci anni per una laurea quinquennale sono troppi». Poi, ai microfoni della Zanzara di Radio24, aggiunge: «Non mi pento di aver detto "sfigato" perché lo penso. Mi dispiace solo di non essere stato più sobrio. Ho sbagliato la parola, avrei dovuto dire "Sbrigatevi a laurearvi". Se mi attaccano personalmente è perché ho toccato un tasto dolente». Dopotutto basta prendere il dizionario Treccani per scoprire che «sfigato» è termine che appartiene «al linguaggio giovanile». E chi se non l'uomo che si occupa di giovani per il ministero del Welfare poteva utilizzarlo? A parte il dibattito lessicale, però, è difficile non pensare che chi si trova a "pascolare" in università senza apparente motivo, debba essere esaltato nelle piazze. Ci sarà pure un motivo se nel 1995, quei quattro trentenni messi sullo schermo da Pieraccioni, che giocavano a battaglia navale e non riuscivano a superare un esame, facevano tanto ridere. Forse erano un po' ridicoli.