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La politica e i sussulti d'orgoglio

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Costretta dalle sue stesse debolezze, tanto a destra quanto a sinistra, a fare più di un passo indietro e a preferire il passaggio di un governo tecnico piuttosto che un improduttivo turno di elezioni anticipate, peraltro nel bel mezzo ancora di una grave crisi economica e finanziaria, la politica ha ogni tanto sussulti di orgoglio. Questi sussulti peraltro non sono sempre ingiustificati perché neppure i tecnici sono naturalmente infallibili, per quanto non abbiano come i partiti il fiato degli elettori sul collo. O ce l'hanno meno direttamente o ossessivamente, almeno fino a quando i ministri più esposti di questo governo, se vogliamo risparmiare in partenza dai sospetti il presidente del Consiglio, che finora non ha fornito occasioni per alimentarne, non si lasceranno tentare anch'essi dalla politica. E non si muoveranno pensando ai partiti o agli schieramenti, vecchi o nuovi che potranno essere, nei quali dedicarsi anche loro alla ricerca prioritaria o esclusiva del consenso elettorale. Cioè fino a quando non diventeranno anch'essi dei politici, e nel senso non migliore della parola: quelli che alla ricerca del consenso sacrificano tutto, anche il dovere di essere, all'occorrenza, per il ruolo che svolgono, per esempio alla guida di un governo, degli statisti. Come lo fu, per esempio, ai suoi tempi Alcide De Gasperi. E come ha dimostrato di saper essere, al netto dei suoi indubitabili e non pochi errori, anche Silvio Berlusconi. Del quale non a caso, anche a costo di essere sbertucciati dai Travaglio di turno, sia il capo dello Stato sia il nuovo presidente del Consiglio hanno più volte riconosciuto e apprezzato pubblicamente il senso di responsabilità - che è tipico appunto di uno statista - dimostrato dimettendosi nello scorso autunno, pur in assenza di un voto formale di sfiducia parlamentare. Che era l'unico che lo potesse costituzionalmente obbligare a quel passo, anche a costo di ulteriori tensioni politiche. Per quanto a volte malamente espresso, e al di là del prezzo troppo alto pagato alla fine ai condizionamenti della Lega, rinunciando per esempio al necessario intervento risolutivo sull'insostenibile lusso delle pensioni anticipate di anzianità, non è per niente immotivato il merito rivendicato dal Pdl e dallo stesso Berlusconi di avere tenuto sotto controllo i conti pubblici sino alla primavera scorsa. Quando le dimensioni europee, anzi planetarie, della crisi economica e finanziaria fecero saltare tutti i sismografi, e i nervi della politica, specie di quella peggiore. Che decise di cavalcare la volatilità dei mercati, l'ingordigia degli speculatori e la debolezza di una governance europea solo oggi da tutti riconosciuta, e lamentata, per stringere l'assedio al Cavaliere, già indebolito da una caccia giudiziaria senza fine. Alla quale egli avrà pure contribuito con i suoi errori comportamentali, ma che nessuno può in buona fede ritenere casuale, o solo ordinaria. Non è immotivato neppure l'orgoglio con il quale ieri il giornale del Pd l'Unità contestava il carattere «rivoluzionario» attribuito da la Repubblica e dal Corriere della Sera alle liberalizzazioni varate dal governo Monti: rivoluzionario rispetto a quelle varate nel 2006 dall'ultimo governo di Romano Prodi, e passate nel dibattito politico come «lenzuolate» per il nome che diede loro l'allora ministro proponente. Che era l'attuale segretario del Pd Pier Luigi Bersani. I cui compagni e sostenitori hanno avuto gioco fin troppo facile a rinfacciare specie a la Repubblica il titolo inneggiante alla «rivoluzione» riservato anche allora in prima pagina alle misure appunto di Prodi e Bersani. E a fare i conti dei risparmi «immediatamente» procurati da quelle lenzuolate a «milioni» di consumatori alle prese, per esempio, con «mutui, assicurazioni, farmaci e telefonini». Ma, a parte l'enfasi di risulta nella quale anche i sostenitori di Bersani sono caduti e cadono scambiando per liberalizzazioni, sia pure dalle «conseguenze assai più limitate», persino gi aspetti dirigistici e ben poco liberali di alcune delle misure varate dal governo Monti, ciò che di più l'Unità non aveva forse torto ieri a rilevare era, ed è, «una certa onda antipolitica, in attesa di qualche altro salvatore della Patria» che spinge ad esaltare sempre e comunque le scelte dell'attuale governo dei tecnici. Anche quando queste, obiettivamente, non lo meritano.  

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