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Il Pd smonta la riforma e il Pdl resta a guardare

Giuliano Cazzola

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La riforma Fornero è ancora fresca di stampa, ma il Governo - nella sede, peraltro impropria, della conversione del decreto milleproroghe - ha già compiuto una vistosa marcia indietro sul superamento delle pensioni di anzianità, un punto cruciale del nostro sistema pensionistico, sottolineato come tale nella lettera della Bce del 5 agosto. Tale problema era stato affrontato anche nell'ambito della manovra estiva, ma il Governo Berlusconi non era riuscito a superare le resistenze della Lega Nord che si erano unite alle consuete ostilità della sinistra e dei sindacati che hanno sempre difeso, oltre ogni ragionevolezza, questo istituto, caro alla classe lavoratrice maschile del Nord e alle generazioni dei baby boomers, che se ne sono servite per andare in quiescenza (in numero di almeno 4 milioni) ad un'età di poco superiore a 50 anni. Il Governo Monti aveva rotto gli indugi, sopprimendo il trattamento di anzianità, lasciando in vita solo un percorso anticipato che prevedeva una modesta penalizzazione economica nel caso in cui vi fosse uno scostamento tra il requisito contributivo richiesto (41/42 anni di versamenti) e 62 anni di età. Per la sinistra e per i sindacati, che già avevano subìto una riforma oggettivamente molto rigorosa, la penalizzazione di chi aveva lavorato più di 40 anni (soltanto perché non aveva ancora compiuto 62 anni) aveva un significato sacrilego perché colpiva i lavoratori cosiddetti precoci, descritti come se fossero i "dannati della terra". Nella mistica della sinistra i "precoci" (ovvero quelli che hanno cominciato la lavorare in giovane età) occupano un posto a fianco dei "precari", a fronte di un rifiuto culturale nel vedere un collegamento diretto ma perverso tra questi due fenomeni. Se molti giovani, infatti, vagano a lungo nel Limbo prima di entrare stabilmente nel mercato del lavoro, uno dei motivi dipende sicuramente da un differenziale tra costo del lavoro e retribuzione netta che scoraggia le politiche di impiego. E a determinare gran parte di questo differenziale sta un'aliquota contributiva pensionistica che, a livello del 33%, è la più elevata al mondo. Eppure, i "precoci", lavorando più a lungo grazie alla riforma, avrebbero percepito un trattamento più elevato. Diversamente da prima, la riforma attribuisce un ritorno in termini pensionistici per ogni periodo lavorato. Inoltre, non ha senso, in un sistema sostanzialmente retributivo, considerare quanto a lungo si è svolta un'attività, ma a quale età si va in pensione e quindi per quanti anni sarà percepita la prestazione alla luce dell'attesa di vita prevista. È su questo passaggio cruciale che si gioca l'equilibrio dei modelli. Tuttavia, in occasione dell'esame del decreto milleproroghe è partita – prima in Commissione Lavoro poi nelle Commissioni referenti riunite - l'offensiva del Pd contro diversi punti della riforma Fornero, compresa la richiesta di "superamento strutturale del sistema delle penalizzazioni". Purtroppo, il Pd ha potuto approfittare del confuso opportunismo delle delegazioni del Pdl, le quali ormai si sentono in libera uscita, dopo aver trascorso più di tre anni a sostenere le scelte ed i provvedimenti del Governo Berlusconi. La soluzione trovata è stata quella di consentire, a certe condizioni di anzianità contributiva, la possibilità di andare in quiescenza con 41/42 anni di versamenti a prescindere dall'età anagrafica, riaprendo così la porta principale per gli esodi anticipati. Alla fine, però, a rompere l'idillio tra gli avversari di ieri e i complici di oggi, si è messa di mezzo la Ragioneria generale dello Stato nel pretendere la copertura finanziaria, dal momento che, con le modifiche apportate, si è allargata la platea degli aventi diritto e ridotto il risparmio previsto. Qui è nato l'autogol del PdL. I "Cipputi del '68" potranno, infatti, riconquistare il diritto di andare in pensione senza dover attendere il compimento dei 62 anni e senza sottoporsi alla simbolica penale, grazie all'incremento, a regime, di uno 0,15% dell'aliquota contributiva a carico del lavoro autonomo (che si aggiunge all'aumento di ben 4 punti previsto nel decreto Salva-Italia). Così, la faccenda è finita in politica. Ma come – si sono detti i vertici berlusconiani – per accontentare le richieste e l'elettorato del Pd, mettiamo le mani in tasca al nostro? Monti ed Elsa Fornero li avevano liberati di un problema che loro, dal governo, non erano stati in grado di risolvere (si veda la confessione di impotenza scritta nella lettera di intenti del 26 ottobre laddove si parla di pensioni di anzianità) e adesso se lo sono rimangiato soltanto per fare un favore al Partito democratico e alla Cgil. Domani il decreto arriva in Aula alla Camera. È evidente che occorrerà trovare una nuova copertura, perché, a questo punto, nessuno vorrà colpire milioni di lavoratori autonomi. Sarà aumentata l'accise sulla benzina o sugli alcolici o sul tabacco? La conclusione sarà sempre la stessa: pur di accontentare qualche decina di migliaia di persone che non sono disoccupate, ma che non intendono lavorare un po' più a lungo, si interverrà ai danni di milioni di cittadini. Correttamente, invece, si è provveduto, nel milleproroghe, a salvaguardare coloro che rischiavano di rimanere senza lavoro e senza pensione. Ma è tutto un altro problema.

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