L’oltraggio di Bossi a Roma
Va bene che Umberto Bossi si sente orgogliosamente e combattivamente padano, per quanto costretto dalla maledetta emiparesi procuratagli nel 2004 da un ictus cerebrale a dismettere quella pur metaforica armatura di Braveheart adottata nel 1995 vedendo, incantato, l’omonimo film su William Wallace, l’antico eroe dell'indipendentismo scozzese, da lui peraltro confuso lì per lì per un irlandese. Ma è riuscito, diavolo di un uomo, a sorprenderci ancora una volta per il modo in cui ha voluto unirsi ai "barbari sognanti" di Roberto Maroni, accorsi al teatro Apollonio di Varese per manifestare la loro solidarietà all'ex ministro dell'Interno inviso nella Lega al cosiddetto "cerchio magico" formatosi attorno al fondatore del movimento. Ma apparso a Giuseppe Baiocchi, ex direttore del giornale ufficiale del partito, la Padania, come qualcosa di un po’ meno tondo e magico: un quadrato di "badanti, maschi e femmine, che filtrano i rapporti del capo". Costoro debbono esserci rimasti un po’ male vedendo Bossi accorrere da Maroni per ricucire lo strappo procurato da quel maldestro divieto di parlare ai militanti annunciato dopo lo scontro consumatosi la settimana scorsa nel gruppo e nell’aula della Camera tra i favorevoli e i contrari all’arresto del deputato del Pdl Nicola Cosentino. I favorevoli, si sa, sono stati i seguaci di Maroni, contrari i fedelissimi di Bossi, guidati da Marco Reguzzoni: lo stesso del quale i maroniani, o maroniti, hanno reclamato nel teatro di Varese la cacciata, o almeno la rimozione da capogruppo, per chiudere momentaneamente la partita, in attesa della più generale resa congressuale dei conti. C’è gente che «parla troppo», ha ammesso Bossi alludendo evidentemente ai suoi e ammettendo di potere «a volte sbagliare» anche lui. Ma cercando anche di assicurare, forse per il futuro, che «non è facile convincermi facilmente». Vedremo, anche se per la questione dell’arresto preventivo di Cosentino, su cui la magistratura campana indaga da quasi quindici anni senza mai venire a capo di un processo, la ragione era forse più di Bossi che di Maroni. Una cosa comunque è certa. Che ci provino quelli del "cerchio magico", badanti o non badanti che appaiano all'ex direttore della Padania, o che ci provino Maroni e i suoi, per quanto sognino di essere i nuovi "barbari", qualcuno dovrà cercare di convincere finalmente Bossi con le buone, e magari anche con le cattive, a colmare un’imperdonabile lacuna a dir poco culturale di cui egli si è vantato a Varese per provare il suo "odio" per Roma. «Non ho visitato neppure la Cappella Sistina», ha biascicato il leader leghista. Sbarcato a Roma da senatore nella primavera del 1987, in quasi venticinque anni, diciotto dei quali condizionati politicamente per l’intero Paese, cioè per tutti noi, dai suoi alterni rapporti di alleanza e di rottura con Silvio Berlusconi, né il senatore, né l’onorevole, né il ministro ma sempre capo della Lega Umberto Bossi ha mai avvertito la curiosità, l’interesse, prima ancora del bisogno, di andare a visitare la Sistina. Di andare a posare lo sguardo su quei tesori universali e incommensurabili costituiti dagli affreschi di Michelangelo. Ma che razza di uomo è questo Bossi? Che razza di leader crede di essere? Che razza di umanità pensa di rappresentare? Viene la pelle d’oca solo a pensarci. E a pensare che un uomo così possa essere stato o tornare ad essere decisivo per le sorti del Paese, visto che nel partito ancora più rappresentato in Parlamento, il Pdl, si continua purtroppo a discutere su come ignorare il contributo dato dal suo movimento alla crisi dell'ultimo governo di Silvio Berlusconi, tra i marosi della grave crisi economica e finanziaria, e su come salvaguardare o riprendere un’alleanza con lui.