L'Europa sta andando a picco e nessuno la riporta in rotta
Secondo il Wall Street Journal il naufragio della Costa Concordia è «la metafora del destino dell'Europa. Una nave il cui capitano è negligente, e dove all'equipaggio non è stato detto come affrontare l'emergenza». Mario Sechi vi ha individuato «una fotografia crudissima dell'Italia». A noi non piace dar ragione a tutti, però sono vere entrambe le letture. L'Europa sta naufragando, come osserva il WSJ, e nessuno la riporta in rotta. I suoi timonieri scherzano con il fuoco esattamente come certi comandanti sfiorano gli scogli dando il colpo di barra all'ultimissimo secondo. E se accade il patatrac nessuno resta in plancia a far calare le scialuppe. In fondo il declassamento di Standard & Poor's è passato senza troppi disastri grazie agli interventi della Banca centrale europea. Ma ciò non ha impedito che si scatenasse tra i leader di eurolandia uno scaricabarile che la dice lunga sulla solidarietà di facciata propinata in ogni vertice. Il "Merkozy", l'asse Germania-Francia, si è spezzato. Il "Merkmontizy", nel quale l'Italia era stata riammessa come figliol prodigo, ci ha illuso per appena un mese. Se l'irritazione e gli interessi elettorali di Sarkò, che dopo David Cameron ha mandato al diavolo Angela Merkel, non sono sfuggiti a nessuno, ecco il crescente contrasto Roma-Berlino. La successione dei fatti parla da sola: Mario Monti ha chiesto sul Financial Times che la Germania faccia di più per la crescita e per raffreddare i tassi sui nostri titoli. La risposta tedesca è stata una doppia sberla: prima Wolfgang Franz, capo del consiglio di economisti della Merkel, ha detto: «L'Italia può sbrigarsela da sola». Ieri la stessa cancelliera ha affondato la lama: «Non riesco ad immaginare che cosa la Germania possa ancora fare». Monti, davanti al caminetto di Downing Street, ha risposto con diplomazia: non nascondendo però, assieme a Cameron, un sorriso in stile Merkozy di qualche tempo fa. Nel frattempo in un fuori onda finito sulla stampa francese Sarkò ha detto: «Stiamo pagando a carissimo prezzo l'ortodossia tedesca». Con i leader dei tre maggiori paesi dell'euro al tutti contro tutti, con il Regno Unito che resta fuori, con i downgrading di massa e quelli di Fitch annunciati a breve, con una trattativa sul nuovo patto di bilancio riportata in alto mare dal rigorsimo tedesco, e con Mario Draghi che definisce «in drammatico peggioramento» la situazione del credito, si può dar torto a chi paragona la nave europea alla Costa Concordia? Anche la scogliera su cui far naufragio è già segnata sulle carte: la Grecia. Il 20 marzo Atene dovrà rimborsare un bond da 14,4 miliardi: soldi non ne ha più neppure tagliando tredicesime, stipendi e pensioni. O l'Europa si dà una mossa, oppure il default è sicuro. Standard & Poor's e Fitch lo danno per certo: il problema, dicono, è solo come evitare l'effetto domino che travolgerebbe Portogallo, Irlanda, Italia, Spagna e gli altri. Da tempo si discute dell' haircut dei titoli greci, un taglio della metà del prezzo da restituire ai detentori accompagnato da un allungamento delle scadenze: un default mascherato. Ora però la Germania ha chiesto di aumentare la posta: haircut non più al 50, ma al 60 per cento. Che cosa c'è dietro? Quei titoli sono stati emessi nel 2009 al tasso del 4,3 per cento: neppure tre anni fa la Grecia poteva quindi collocare i bond ad interessi pari a quelli attuali dell'Italia. Il suo rating era stato appena tagliato da A+ ad A-. A fine 2009 sarebbe stato ulteriormente declassato a BBB+: lo stesso che Standard & Poor's ci assegna oggi. Certo, Atene aveva falsificato i conti; mentre in due anni l'Europa non l'ha né lasciata fallire (come forse avrebbe dovuto fare subito) né tirata fuori dai guai. E proprio su questo prospera la speculazione. Scopriamo qualche altro altarino: le banche e le istituzioni tedesche che nel 2010 avevano in pancia 40 miliardi di titoli greci, e si erano impegnati a non venderli, adesso ne hanno meno di 20. Mentre Francia e Italia hanno mantenuto l'esposizione: 55 miliardi per Parigi, 3,7 per Roma. Dove sono finiti i bond scaricati da Francoforte e dintorni? In gran parte in fondi speculativi americani capitanati da Marathon Asset Management, il cui presidente Bruce Richard ha definito la Grecia «una ottima opportunità di guadagno». Questi hedge fund si sono infatti seduti al tavolo certi di vincere sia che Atene fallisca sia che si salvi. Nel primo caso grazie ai Credit default swap acquistati a piene mani, nel secondo con i titoli presi al ribasso dalle banche tedesche. Ed ogni parola della Merkel fa lievitare il loro bottino. Ammettiamolo: il comandante Schettino con i suoi riccioli da guappo è davvero un dilettante.