L’aiuto del Fmi all’Italia è da respingere
Guardare a Washington per capire cosa succede a Roma. La contemporaneità funziona così e le menti piccine non l’hanno ancora capito. Se il Fondo Monetario Internazionale chiede di aumentare di 500 milioni di dollari la sua dotazione per arrivare a un trilione di risorse disponibili, vuol dire che si sta apparecchiando qualcosa di molto serio che ci riguarda. Cosa? Il salvataggio delle economie in difficoltà, l’aiuto diretto agli Stati che sono in situazione di stress finanziario. Quali Paesi? La Grecia - per la quale c’è lo spettro del fallimento ad horas - e poi a ruota la Spagna, il Portogallo e l’Italia. Se la crisi del debito sovrano non si risolve con un patto europeo, se i mercati continuano ad acquistare titoli con rendimenti elevati, se la recessione va avanti e se la Bce non diventa qualcosa di diverso da quello che è stata finora, l’intervento del Fondo diventa un’opzione. Siamo di fronte all’improbabile che si fa realtà. Non un crac dell’eurozona, ma il salvataggio a caro prezzo di alcuni Paesi è la partita che si sta aprendo. So che qualcuno nel governo pensa che questo sia il male minore. Sbagliato. Per l’Italia un intervento del Fmi significa la cessione della sovranità sulla politica economica, per gli italiani una ricetta durissima di tagli e licenziamenti. Dal punto di vista del costo sociale e dei rischi di destabilizzazione, si tratta di una soluzione cattiva. Il problema è che i partiti non hanno piena coscienza di quel che sta accadendo e il governo ha bisogno di più supporto. A Monti va dato atto di aver fatto il giro delle sette chiese in Europa per convincere gli altri leader che l’Italia non è un rischio, ma l’esecutivo deve fare meglio. Se un governo perde tempo con i taxi, figuriamoci cosa accadrà quando dovrà metter mano alla spesa. La messa in sicurezza dell’Eurozona è un interesse primario di tutti. Degli Stati Uniti come della Germania, il problema è che la crisi si dispiega durante una tornata elettorale eccezionale: si vota in Germania, si vota in Francia, si vota in America. E tutti i leader non sono per niente al sicuro. La nostra linea deve essere ferma e chiara: non dobbiamo pagare noi il loro conto elettorale.