Ora l'esecutivo punti in alto
Libero taxi in libero Stato. È la nuova bandiera dell'Italia moderna passata dalle mani risorgimentali ai professori chiamati ad offrire il proprio servizio al Paese guidandolo. Non vogliamo essere miscredenti anche perché crediamo alle liberalizzazioni. Rischiamo, però, senza accorgercene, l'orgia della banalità o, se volete, un grande depistaggio dai veri problemi che affliggono la crescita del Paese che da oltre 15 anni è ferma al palo. Le liberalizzazioni, lo diciamo con grande fermezza, possono dare una mano a costruire società più libere e concorrere, nel medio-lungo periodo, ad un consolidamento della crescita economica per attivare la quale, però, occorrono due grandi e fondamentali risorse. La prima è una massiccia sburocratizzazione a favore di famiglie e prima ancora delle imprese a cominciare dalla loro nascita. La seconda condizione è il recupero di risorse fresche capaci di abbattere significativamente il debito accumulato e attivare investimenti pubblici da molti anni ridotti al lumicino. Fuori da queste due condizioni tutto il resto è poco più che un orpello, liberalizzazioni comprese, in particolare quelle riguardanti categorie certamente non ricche come i tassisti. Va detto, inoltre, che nel caso specifico quali che siano i numeri dei taxi circolanti le tariffe non verranno ridotte con buona pace dei consumatori. Lo stesso discorso vale anche per le farmacie. Invece di aumentare il numero delle farmacie (tranne laddove è davvero necessario) o trasferire alla grande distribuzione i farmaci di fascia C, quelli cioè, non a carico del servizio sanitario nazionale, perché non consentire alle farmacie esistenti di fluttuare i prezzi di questi farmaci introducendo, così, una vera e propria dose di concorrenza? Insomma la sensazione che abbiamo è che stiamo caricando di troppe aspettative un provvedimento che, per mutare orientamenti del cittadino e rompere rendite di corporazioni, ha bisogno di tempo e gradualità. Ma ha bisogno anche di legittimità che nasce solo se si affrontano i nodi più importanti a cominciare, ad esempio, dalla separazione tra produzione e distribuzione del gas e dell'energia in genere il cui costo, per famiglie e imprese, è tra i più alti d'Europa. È qui che si vede la capacità politica del governo ma, consentiteci, è qui che si vede innanzitutto la vitalità dei gruppi parlamentari e dei partiti la cui afasia da troppo tempo rischia di lasciare soli il governo e i suoi ministri o lasciarli addirittura in balia di conoscenze o di esperienze professionali precedenti senza un'adeguata visione politica. Purtroppo, e lo diciamo con preoccupazione, la recessione avanza e avanzerà sempre di più quest'anno ed oltre e difficilmente avremo nel 2013 quel famoso pareggio di bilancio diventato il nuovo totem di un'Europa che non riesce a trovare la strada virtuosa di una governance stabile e di una crescita diffusa e ancora lontana, culturalmente e politicamente, dall'esigenza di ridefinire in tempi brevi una più severa disciplina dei mercati finanziari. La possibile strada della Tobin tax, di cui si è parlato, al di là delle difficoltà tecniche della sua esazione, non può che essere decisa dal G20 onde evitare altri squilibri finanziari tra le aree del mondo. E se anche questo dovesse accadere la Tobin tax sarà l'obolo caritatevole della speculazione finanziaria che sarà lieta di pagarla pur di continuare indisturbata l'azione devastatoria. La questione centrale per l'Italia e per l'Europa, infatti, è come ricondurre la grande liquidità internazionale al suo ruolo naturale di sostegno alla produzione dei beni e dei servizi. Ad oggi le grandi autorità politiche europee ed italiane non ci sembrano avvertire questa esigenza del mondo e rischiano di perdersi in mille iniziative che alla fine finiscono per depistare, per l'appunto, l'opinione pubblica dai veri problemi che affliggono le società europee e più in generale quelle occidentali. Sul terreno, infine, delle liberalizzazioni sarebbe utile puntare con gradualità ad una uniformità ordinamentale con quei Paesi europei (Francia e Germania) con i quali più ci confrontiamo per evitare quei disagi già avvenuti negli anni '90 quando lo Stato si ritirò pesantemente dall'economia e dal mercato lasciando praterie immense per le grandi società francesi, angloamericane, tedesche e olandesi. Errare, come si sa, è umano, perseverare è diabolico e qualche volta addirittura colludente.