Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

La vera liberalizzazione è sulle banche

Un tassista mostra un volantino con Robert De Niro nella scena finale del film Taxi driver

  • a
  • a
  • a

Domanda facile facile: per una famiglia pesa più il taxi o la bolletta della luce, del gas e dell'acqua? Altra domanda: le decine di costi, il più delle volte occulti, della banca (e adesso, con l'abolizione del contante sopra i 999 euro, anche imposti per legge), contano più o meno di trovare l'aspirina al supermarket? Ancora: sul portafoglio domestico grava più l'aumento automatico dell'assicurazione sull'auto, che non si riduce neppure se non fai mai un incidente, o la possibilità di correre alle 2 di notte al drugstore e fare scorta di birra e patatine? Scriviamo questo non certo in difesa di lobby, come i tassisti, pronti a minacce e scioperi (peraltro in difesa di interessi che se valgono per altri valgono pure per loro), ma perché vediamo avvicinarsi un nuvolone di promesse tanto miracolistiche quanto simboliche e illusorie. Esempio: dalla liberalizzazione delle farmacie e dei medicinali da banco dovrebbero arrivare 7.700 «nuove strutture», 30 mila posti di lavoro e un risparmio di 120 milioni di euro. Da quale fonte scientifica vengono questi calcoli? Altro esempio: i distributori di benzina multimarca. L'idea è che ti fermi e scegli se mettere Eni, Shell, Total oppure un carburante «no logo». Lungi da noi correre in soccorso dei petrolieri, ma non ci sembra abbia tutti i torti il loro presidente quando ricorda che gli impianti sono proprietà delle compagnie, che i benzinai sono gestori, e che pare bizzarro credere che chi ha costruito i distributori acconsenta di vendervi il prodotto concorrente. Quanto al prezzo, di che cosa stiamo parlando se ad ogni manovra governativa (compresa l'ultima di Mario Monti) si aumentano imposte e accise? Non si potrebbe rinunciare a questa moderna tassa sul macinato, anziché agire al contrario, cioè prima aumentare il costo del prodotto e poi promettere la dereguration? Ma proprio l'esempio dei distributori di benzina ci porta a quella che sarebbe una delle liberalizzazioni vere, e sulla quale invece non si interviene. Parliamo delle banche. O delle assicurazioni. Se vale il principio del distributore multimarca, dovrebbe estendersi ai prodotti finanziari e assicurativi: vai in agenzia e scegli se aprire un conto, fare un bonifico, chiedere un prestito o un fido con Intesa o Bnl. Impossibile, ovviamente. Eppure – dati della Banca d'Italia alla mano – è proprio allo sportello che subiamo i salassi peggiori. Tra il 2010 e il 2011 un bonifico via internet è passato da 0,45 euro a un euro: il 122 per cento in più. Un pagamento utenze con il bancomat da 0,33 a 0,6 euro: l'82 per cento. Il prelievo di contanti allo sportello passa da 0,75 euro ad 1,41 euro: più 88 per cento. Secondo la Cgia di Mestre si tratta di maggiori spese per famiglia di 260 euro l'anno. Che raddoppiano a 522 per le polizze assicurative. Diffidiamo sempre di questi conti un po' all'ingrosso, ma ci sembra che in fatto di liberalizzazioni sarebbe maglio partire da qui, anziché dai taxi e dalle farmacie. O magari da tutte e due: ma tenendo presente che mentre i costi bancari e assicurativi sono ineludibili (e adesso ancora di più), non tutti prendono un taxi al giorno. Partire da qui e da quel gigantesco settore protetto delle utenze domestiche. L'Istituto Bruno Leoni calcola che, per il gas, rispetto al paese più liberalizzato, la Gran Bretagna, noi italiani paghiamo il 50 per cento in più, con un aumento che negli ultimi dieci anni è stato a sua volta del 43,3 per cento. Stesso discorso per l'elettricità (più 70 per cento rispetto alla Francia); per l'acqua (più 25,5 per cento), per la raccolta rifiuti, rincarata del 60 per cento. Le spiegazioni sono tutte note da tempo. In primo luogo le imposte e le tasse sulle tasse. Poi c'è il «servizio di rete»: cioè quanto le aziende pagano alla Terna o alla Snam. Naturalmente non mancano i pedaggi che continuiamo a sborsare per lo smantellamento delle centrali nucleari dopo il referendum di Chernobyl, per la guerra di Abissinia, come pure per lo smaltimento rifiuti di Napoli – il sindaco De Magistris è tutto contento di aver venduto la spazzatura all'Olanda: credete sia gratis? – ma anche per il finanziamento dell'energia verde e del teleriscaldamento. Se date un'occhiata alla bolletta scoprirete che tra imposte, gabelle e servizio di rete se ne va oltre il 50 per cento. Il resto è il prodotto fornito. Sul quale vi piovono le telefonate di questa o quell'azienda per proporvi sconti e contratti vantaggiosi. Peccato che per l'elettricità, così come per l'acqua, si sia fatto un referendum che di fatto impedisce sia di pagare meno l'energia (seppellendo il nucleare), sia di liberalizzare il servizio, per l'acqua, mantenendolo nelle mani il più delle volte incapaci degli enti locali. Ecco, con lo slogan «giù le mani dall'acqua» abbiamo fatto un bel favore ad uno dei più grandi monopoli d'Italia: il capitalismo municipale. Attraverso il quale, oltre alle salatissime bollette, paghiamo anche sprechi, stipendi extralarge, consulenze e clientele. Ripetiamo: perché non si liberalizza qui?  

Dai blog