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Fallita l'opa di Maroni sulla Lega

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Roberto Maroni

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Sono bastati undici voti. Undici voti in più che da una parte hanno evitato la galera a Nicola Cosentino e dall'altra hanno sottolineato che la Lega non è più quel partito granitico che Umberto Bossi aveva costruito a sua immagine e somiglianza. È così finita l'epoca dei Lumbard chini al volere del Capo. E, al tempo stesso, è finito anche il sogno di Roberto Maroni che voleva dimostrare, convincendo i colleghi a votare a favore dell'arresto per l'esponente campano del Pdl, di poter controllare a bacchetta la maggioranza degli esponenti leghisti a Montecitorio. Invece dietro quegli undici voti c'è tutta la disfatta dell'ex ministro dell'Interno. E sono proprio i numeri a fare chiarezza. Infatti, se all'ultima conta ufficiale, subito dopo il raduno di Pontida, i maroniani riuscirono a formare un gruppo di 50 deputati pronti a chiedere la testa del capogruppo bossiano Marco Reguzzoni per sostituirlo con Giacomo Stucchi, ieri la truppa dei «fedelissimi di Bobo» si è ridotta alla metà. Un dato che emerge dalle parole di Luca Paolini che, da sempre perplesso sulla custodia cautelare contro Cosentino, ha commentato: «I colleghi di partito che hanno votato in coscienza (e quindi per salvare il deputato dalla galera, ndr) sono stati almeno 25-30 e Bossi era assente perché non voleva influenzare nessuno». Ed è proprio l'assenza di Bossi in Aula a dimostrare una strategia ben studiata. Bossi assente, Maroni presente. Bossi non vota, Maroni vota. Una situazione che, qualunque fosse l'esito della votazione, avrebbe messo il Senatùr in una condizione privilegiata. Infatti se il progetto di Maroni di mandare in galera Cosentino, avesse avuto successo, l'Umberto si sarebbe risparmiato l'umiliazione di dover fare i conti con l'evidenza d'aver perso la leadership sul movimento. In caso contrario, ed è quello che è successo, i fatti parlano più di mille parole: Maroni è rimasto seduto immobile al suo scranno. Al suo fianco i «bossiani» esultanti per il successo, e lui a scorrere le pagine di qualche sito internet sul suo iPad circondato dai sui fedelissimi bramosi di rassicurarlo sul loro voto favorevole all'arresto. Un esercizio che ha avuto seguito per tutto il pomeriggio sulle agenzie di stampa per evitare che l'accusa di tradimento ricadesse su uno o su quell'altro. Un tradimento che poi, nell'ufficialità delle parole di Paolini in Aula, si fatica a delineare dato che la linea da tenere lasciava libertà ed era stata concordata durante una riunione burrascosa del gruppo già nella mattinata di ieri: «La Lega lascia libertà di coscienza ai deputati - spiegava Paolini - pur esprimendosi a favore del sì all'arresto perché non c'è certezza che vi sia fumus persecutionis su Consentino». In altre parole, una dichiarazione di voto che diventa un maldestro tentativo di mediazione tra la posizione di Bossi, la prima, e quella di Maroni. E proprio durante quella riunione era già emersa tutta la tensione dei nordisti sfociata quando Paolini, oggetto di dure critiche da parte dei maroniani, e Gianpaolo Dozzo, hanno sfiorato il "contatto fisico". Zuffa evitata solo per la prontezza di alcuni colleghi di partito che sono riusciti a tenere i due a debita distanza. Tensione che si è percepita anche nello scambio di battute tra Bossi e Maroni. Il primo, spiegando le ragioni del no all'arresto («La gente del Nord è per la galera ma bisogna lasciare libertà di coscienza perché non c'è alcuna prova di colpevolezza»), rivedeva la posizione concordata lunedì a Milano con lo stato generale del partito. E il secondo, indispettito dalla mal parata, alzava i toni spiegando di non essere stato l'unico a voler votare «sì» alla richiesta di custodia cautelare contro l'esponente piediellino. Obiezione respinta dato che il Senatùr ha concluso la riunione dettando fermamente la linea: ognuno potrà votare in piena autonomia. Alla fine così è stato. La conta, sebbene segreta, ha aperto una crepa che difficilmente si sanerà. La base ha alzato le barricate e ora non si capisce con chi il Pdl dovrà trattare le alleanze alle prossime amministrative. Sempre se alleanze ci saranno.

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